Storie di donne: Simona Geri
“Non amo chi “urla” nel vino…” È bastato questo motto, che chiude la biografia sul suo sito, per farci entrare subito in sintonia con Simona Geri, content creator, wine communicator e wine taster, toscana DOCG cresciuta a pane e Supertuscan. A Simona, così come a noi di oscarwine, piace comunicare e raccontare il vino con gentilezza. Scopriamo insieme la sua storia.
Qual è la prima immagine che ti viene in mente pensando al vino?
“La croce di pietra di Romanée-Conti in Borgogna. È lì, durante un viaggio con mio marito, che sono stata folgorata sulla via di Damasco e ho preso la decisione di fare il corso da sommelier AIS.”
Facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio…
“Papà di Bolgheri, nonni materni proprietari di un ristorante-enoteca all’Elba, fin da bambina sono stata abituata a vedere a tavola il fiasco di Chianti e le bottiglie di Bolgheri. Mio padre mi portava in vendemmia da suo cugino che aveva un’azienda a Castagneto: ricordo tutto come fosse oggi, persino l’odore del mosto in cantina. Crescendo ho seguito un percorso di studi e di lavoro lontano dal vino, ma sono sempre stata circondata da appassionati e mi è capitato spesso di fare vacanze a tema enogastronomico.”
Come e quando tutto questo è diventato una professione?
“Durante gli studi per il diploma AIS mi sono avvicinata ancora di più a questo mondo, iniziando a scriverne sui social. All’improvviso l’azienda per cui lavoravo ha perso tutti gli appalti e mi sono trovata a 40 anni a dovermi inventare una professione nuova. Ho continuato a studiare, ho preso il WSET (per ora mi sono fermata al secondo livello) e il diploma da operatore enoturistico e ho investito la liquidazione nel mio nuovo lavoro, iniziando a frequentare gli eventi in tutta Italia e proponendo la mia consulenza alle cantine. I miei contenuti online hanno incontrato l’interesse di aziende anche importanti e ho deciso di lanciarmi in questa nuova avventura. Con il tempo sono riuscita a costruirmi una credibilità importante, ad esempio ho iniziato a lavorare con The WineHunter come media partner e poi sono entrata nella commissione d’assaggio del Merano Wine Festival. Collaboro anche con la Fondazione Edmund Mach.”
Come mai hai scelto la via della comunicazione?
“È più giusto dire che è la comunicazione ad aver scelto me. Quando ho iniziato a vedere una risposta da parte del pubblico, mi sono armata di pazienza, mi sono documentata e ho cercato di capire come fare ad essere originale. Mi sono dedicata tanto alla community, comprando vini anche dall’estero per farli conoscere. Sono curiosa, assaggio di tutto. Ricevo 5oo messaggi al giorno e rispondo a tutti, dalla ragazzina che chiede informazioni sui corsi alla signora che mi manda le foto delle bottiglie sugli scaffali del supermercato per aiutarla nella scelta. Ovviamente non faccio solo questo, mi occupo anche di altri aspetti come le carte dei vini per i ristoranti, ma di sicuro la parte social è quella più in vista.”
Fai della gentilezza un cavallo di battaglia…
“Posso dare l’impressione di essere una persona risoluta, ma credo nel motto di mio padre che diceva “Con la gentilezza conquisterai il mondo.” Cerco di mettermi sempre nei panni del wine lover, del consumatore finale, che non ha bisogno di conoscere termini come l’estratto secco, il pH o la fermentazione malolattica, ma vuole fidarsi di te per sapere se un vino è buono o meno. Sono empatica, mi affeziono alle storie delle persone che mi seguono e mi vogliono bene. Quando una persona mi sorride e mi saluta, io sono contenta. Una buona parola fa piacere a tutti. Sono contenta che il Times di Londra mi abbia dedicato un articolo e mi studino a Bordeaux come esempio di comunicazione, ma la vera soddisfazione è sentirsi ringraziare da una persona sconosciuta per aver trasmesso la mia passione.”
Come donna è stato più difficile acquisire credibilità?
“Quando ho iniziato a frequentare i press tour, non mi parlava quasi nessuno. Poi vedendo come mi muovevo sul campo, la credibilità l’ho conquistata ma non è stato facile. Non penso però sia solo una questione di genere, quanto di carattere. Non sono femminista a prescindere. Sono della bilancia e tendo sempre a trovare un equilibrio, non mi piacciono gli estremi. Credo che la differenza la si faccia con il modo di lavorare: devi far vedere che i vini li provi per davvero. Se mostri solo foto di bellissime magnum chiuse, non funziona. Prima io assaggio e solo se sono convinta si inizia una collaborazione. È una politica sulla quale non transigo. Probabilmente non diventerò mai ricca, ma preferisco tenermi la credibilità.”
La comunicazione è legata all’immagine. Come si concilia con i contenuti?
“All’inizio mi sentivo dire che le aziende mi contattavano per il mio aspetto gradevole. Ho autostima, mi piaccio e mi piace vestirmi bene, ma ci vuole altro. Non c’è niente di male nel mostrare una scollatura, ma ora sembra sia diventata una bandiera. Il passo dalla sensualità alla volgarità è molto breve. L’immagine funziona ma usare solo quella come veicolo principale mette il vino in secondo piano. Ci vuole sempre equilibrio e la giusta misura in tutto. Se non ci sono i contenuti, l’immagine da sola prima o poi perde di efficacia. Detto fuori dai denti, non mi chiamano perchè sono gnocca ma perchè so parlare di vino.”
Una donna da citare come esempio.
“Sicuramente Monica Larner. È stata una delle prime a conquistarsi un ruolo importante e ha fatto da apripista a molte altre. Forse con il tempo si è accontentata di qualche scelta più facile, ma rimane un esempio per tutte.”
Hai un vino del cuore?
“Sì e non mi nascondo, l’ho sempre detto: il mio vino del cuore italiano è il Batar di Querciabella. Ho avuto anche la fortuna di poter lavorare con loro. Parlando di un rosso che mi lega al territorio, anche se spesso è oggetto di critiche, per me Sassicaia è sempre stato un’icona e rimane un ottimo vino. Sono un’amante del pinot meunier e c’è uno champagne che adoro, Origin’elle di Françoise Bedel. E poi mi appassionano i vini di altre parti del mondo, come ad esempio quelli di Israele, del Libano, i vini armeni. Sono curiosa, mi piace conoscere culture nuove.”
Un ultimo consiglio per comunicare il vino nel modo giusto…
“Forse è brutto da dire, ma non fare le “marchette”. Bisogna cercare di essere sinceri, con chi ti ascolta ma soprattutto con se stessi. I vini non possono essere tutti buoni. Il mondo del vino ha bisogno di onestà, a tutti i livelli.”