
Storie di donne: Federica Radice
Proseguono le nostre chiacchierate con le protagoniste femminili del mondo del vino. Oggi è la volta di Federica Radice, head sommelier del ristorante Due Colombe (una stella Michelin a Borgonato in provincia di Brescia), premio Carta Vini Italia 2024 ai MWW Awards e tra i 100 professionisti scelti per la redazione della guida Wine List Italia.
Partiamo dal tuo rapporto con il vino…
“Il mio è stato un avvicinamento tardivo, come le vendemmie. A livello familiare non ho alcun legame con il mondo del vino, se non un ricordo bellissimo, per me molto tenero, delle estati passate a Orvieto, dove i miei zii avevano una piccola vigna e in autunno si faceva la vendemmia tra di noi. Questo è stato il mio primo approccio inconsapevole, anche se la passione è arrivata molto più tardi. Ho studiato comunicazione pubblicitaria e ho fatto la copywriter per quasi 10 anni. Poi, durante una sorta di anno sabbatico in Australia, ho lavorato in alcuni ristoranti e quando sono tornata in Italia ho voluto dare continuità a questa esperienza. Ho preso il diploma AIS a Milano nel 2015 e ho iniziato la mia attività come sommelier.”
Qual è stato il tuo percorso lavorativo?
“La mia prima esperienza è stata in Terrazza Triennale a Milano, con lo chef Stefano Cerveni. Dopo circa quattro anni sono passata al Gong di Giulia Liu, dove ho potuto confrontarmi con una cucina e con abbinamenti totalmente differenti. Nel frattempo ho continuato a studiare, prendendo il primo livello come sakè sommelier. Ho seguito poi l’apertura del VIVA Viviana Varese e nel 2020 Cerveni mi ha chiesto di tornare a lavorare insieme al Due Colombe. Questo è il sesto anno che mi divido tra casa a Milano e il ristorante in Franciacorta. Ho fatto anche il master sulla Borgogna con Armando Castagno, che porto sempre nel cuore e nel calice, e quello sulla Francia del vino con Samuel Cogliati. Insomma, ho cercato di continuare a crescere, sia con lo studio che con i viaggi, perché credo si debba fare esperienza toccando con mano quello che si impara sui libri.”
Che rapporto c’è tra chef e sommelier in un ristorante?
“Più che parlare in generale, posso raccontare la mia esperienza con Stefano. Appena lui ha un’idea nuova per un piatto, anche in stato embrionale, me la racconta. Da lì inizio a pensare quale vino o quale bevanda possa starci insieme. Quando il piatto inizia a prendere forma, partiamo con gli assaggi. Tutto questo non va immaginato tranquillamente seduti a un tavolo in cui ci si prende un’ora di tempo per studiare, ma nel turbinio del lavoro di tutti i giorni, altrimenti non sarebbe divertente. Capita anche che sia io a trovare un vino particolare e proporlo per un abbinamento, anche se è molto più raro. Tra di noi c’è un rapporto di stima e di fiducia, mi lascia veramente carta bianca. Mi piace sentire il suo parere, anche perché chiaramente ha un palato importante. Non è sommelier però diciamo che qualche bottiglia l’ha bevuta. Ascolto molto i suoi consigli e lui si fida della mia interpretazione della sua cucina. Sono tanti anni che lavoriamo insieme e abbiamo raggiunto un bell’equilibrio in questo senso.”
Come si costruisce una carta dei vini oggi?
“Per me la carta dei vini è uno strumento in continua evoluzione, non c’è una ricetta sempre fissa. Il mio approccio è quello di continuare a far ricerca in ogni ambito, locale e di altri territori, in Italia e all’estero. Per quello che riguarda il mio gusto, scelgo sempre vini che abbiano una correttezza organolettica, una bella pulizia. Possono essere sia convenzionali sia quelli cosiddetti naturali, su questo non faccio distinzione. Sicuramente la carta dev’essere pensata per quelli che sono i piatti, ma anche per le esigenze della clientela. Dedico una piccola parte anche a ciò che piace a me, non lo nascondo, però cerco di essere molto oggettiva, perché il sommelier deve sì portare il proprio gusto, ma prima di tutto deve far funzionare la cantina di cui è gestore in quel momento, anche a livello meramente economico. E questo spesso viene dimenticato, si mette davanti il proprio ego senza pensare che si sta lavorando per qualcun altro.”
Cosa c’è nella tua carta?
“Ci sono delle macro aree intoccabili: lavorando in Franciacorta, devo dare spazio a tutto il panorama del territorio, anche con verticali e approfondimenti su annate e sboccature meno recenti. Questo vale sia per le grandi cantine, sia per quelle più piccole. Da amante dello Champagne, ne ho sempre diversi in carta. Sembrerà paradossale, ma a Brescia ne bevono parecchio, forse perché le bollicine le hanno già in casa e ogni tanto fa bene anche cambiare. C’è tanta Italia, cercando di toccare più o meno tutte le espressioni regionali e anche tanta Francia: ho un debole per la Borgogna e non posso esimermi dall’inserire chardonnay e pinot noir. Ho poi una piccola sezione dedicata ai vini del mondo, nella quale ultimamente sto inserendo Paesi differenti come la Romania, l’Armenia, qualcosa della Grecia, anche la Serbia, dove ho trovato dei vini pazzeschi.”
Ci sono differenze tra l’approccio femminile e quello maschile alla professione di sommelier?
“Domanda molto difficile. Secondo me, l’approccio alla professione passa sempre dalla sensibilità personale, più che dal genere. A me piace raccontare quello che c’è nel calice, senza troppi tecnicismi. La comunicazione deve arrivare diretta al cliente che ascolta una storia, quindi cerco di raccontarla in maniera facile, che non vuol dire semplice, ma approcciabile. Voglio far capire in poche parole cosa si sta bevendo. Non so se questa sia una componente più femminile, perché poi ogni persona è diversa. Forse la distinzione più netta è tra chi ha un approccio narrativo, di approfondimento e chi invece ha una comunicazione più tecnica e preferisce elencare le caratteristiche organolettiche di un vino. Alcuni colleghi uomini sono più sicuri, sparano subito il grande nome e perdono meno tempo a capire cosa vuole il cliente, quale sia effettivamente l’esigenza di che c’è dall’altra parte. Andare su etichette conosciute non è sbagliato, i grandi classici che hanno fatto la storia vanno valorizzati, ma non è detto che vada bene per tutti.”
Com’è il rapporto della clientela con una professionista donna?
“Secondo me nel mondo del vino c’è ancora una vena di misoginia e di maschilismo. Per fortuna le cose stanno cambiando, vedo una clientela più consapevole e preparata, che ha voglia di scoprire, di essere guidata in un’esperienza enogastronomica completa. Nel momento in cui il cliente ha più apertura mentale, non si creano quegli approcci imbarazzanti del tipo “Mi può chiamare il sommelier?”. Adesso capita raramente, ma all’inizio della mia carriera ho visto commensali straniti dal fatto che ci potesse essere una donna a proporre i vini al tavolo. Oggi soprattutto le donne manifestano la loro approvazione quando al ristorante c’è una sommelier. Non dovrebbe essere così, sarebbe meglio se fossero contenti di avere un o una professionista che li guida, però apprezzo il senso di questo complimento.”
Cosa fa una sommelier quando non è al ristorante?
“Quando esci dall’ambito sala-cantina è sempre bello avere un confronto con le altre persone, siano esse colleghi, produttori o appassionati, perché secondo me si cresce. Io non sopporto l’abitudine, sono in continuo cambiamento, come la mia carta dei vini, e queste attività danno carburante alla voglia di scoprire cose nuove. Sicuramente con la guida Wine List Italia stiamo trasmettendo un messaggio molto potente in qualità di professionisti del settore e spero che il progetto continuerà a crescere. Poi ci sono gli interventi, le serate insieme ai colleghi, le fondamentali visite in cantina: sono tutti momenti importanti per un professionista. È un retroscena a cui magari nessuno pensa, ma noi sommelier lavoriamo anche quando siamo a riposo: nei giorni liberi andiamo a fare degustazioni, visitiamo aziende. Io ho la fortuna di avere colleghi che sono anche amici, per cui capita di trovarsi, aprire bottiglie e scambiare impressioni insieme in maniera molto informale. Sono modi per aprire la mente, oltre che le bottiglie.”
Hai delle figure femminili di riferimento?
“Più che di figure di riferimento, parlerei di donne che mi fa piacere portare come esempi virtuosi. Mi viene in mente Ashleigh Barty, ex tennista australiana, non tanto per quello che ha vinto (che poco non è), ma per il suo stile di gioco completo e versatile, la capacità di trovare la soluzione giusta al momento giusto, la brillantezza mentale di pensare fuori dagli schemi, la coerenza con se stessa fino alla decisione di ritirarsi a soli 25 anni semplicemente perché, testuali parole, “voglio realizzare altri sogni”. Oppure Frida Kahlo come esempio di resilienza, indipendenza e riluttanza verso le convenzioni sociali. Mi colpisce molto la capacità di reazione alla malattia, ai tradimenti, all’aborto e in generale alla sua vita travagliata, ancor prima del suo talento artistico. Consiglierei poi il podcast di Antonio Losito “Storie che non esistono” che raccontate le gesta di sei donne della storia sconosciute e dimenticate, dall’imperatrice Teodora alla cecchina sovietica Ljudmila Pavlicenko, nonostante abbiano compiuto rivoluzioni immense con coraggio e fierezza.”
Raccontaci un tuo abbinamento particolarmente ben riuscito…
“Andando ad aprire i cassetti della memoria, direi che uno dei miei abbinamenti preferiti è stato con un dessert, una mousse di cacao e miso con la fava Tonka che gli dava una leggera speziatura e una cialda molto sottile di cacao sopra. L’ho accompagnato con un sakè invecchiato (Shirayuki Edo Genshu Junmai di Konishi Shuzo) che gioca molto sulle note tostate di cacao e caffè, e devo dire che ci stava alla perfezione. Un altro ricordo piacevole è una zuppetta di cozze e vongole in un brodetto di zafferano e zenzero, piatto estremamente sapido, con il quale ho deciso di andare in contrasto assoluto con un Sauternes 2ème Grand Cru 2020 di Chateau Lamothe-Guignard. Il legame aromatico con lo zafferano faceva giocare le due cose in maniera splendida.”
Cosa ti piacerebbe fare in futuro?
“Mi piacerebbe poter viaggiare di più, soprattutto in ambito enologico, perché il viaggio ti apre la mente, parti in un modo e torni cambiato. Vorrei visitare i produttori, vedere cosa succede, scambiare opinioni. Mentre stiamo parlando mi è venuta questa idea: aprire un’agenzia viaggi per sommelier e appassionati di vino. Non so quanto sia realizzabile, ma sarebbe divertente. Mi piace il mio lavoro, mi diverto quando sono in sala con i clienti e mi diverto anche a scartonare i bancali di vino, un po’ come se fosse Natale ogni volta che arriva qualcosa. Sono così nerd che mi piace anche lavorare sul file Excel dei prezzi e dei ricarichi. Però il viaggio ha sempre un fascino unico.”