Sissi Baratella: come si racconta il vino oggi

Laureata in enologia e viticoltura con 110 e lode, un master in marketing e comunicazione, organizzatrice di eventi e degustazioni, giornalista, addetta stampa, blogger, esperta di social media, con un passato come enologo e agronomo in cantina…Come diceva George Clooney in un famoso spot pubblicitario: “What else?

L’abbiamo chiesto direttamente a lei, Sissi Baratella, che ha raccontato a oscarwine la sua storia e il suo punto di vista su come sta cambiando la comunicazione nel mondo del vino.

Come è nato il tuo amore per il vino?
“Ti ringrazio per la domanda. Sembrerà strano, ma non me lo chiede mai nessuno. Non ho una tradizione di famiglia ed è nato tutto in modo abbastanza casuale: i miei genitori ricevevano spesso bottiglie di vino in regalo e con gli anni ci siamo ritrovati ad avere una cantina di un certo livello. Da lì è nata la curiosità di capire quali fossero le differenze tra i vari vini, sia in termini di valore che di qualità. Al liceo, grazie al mio professore di storia e filosofia (materie che tra l’altro non amavo per niente), scoprii che nella mia città (Verona – ndr) c’era la facoltà di enologia e viticoltura e decisi che quella sarebbe stata la mia strada”.

L’approdo naturale dopo la laurea è stato quello di lavorare in una cantina. Perchè hai deciso di lasciare quel mondo?
“Per due motivi principali: il primo è che la visione è gioco forza limitata a pochi vini e a quel territorio e la mia curiosità mi spingeva invece a voler conoscere e raccontare anche realtà diverse. Quando apri il vaso di Pandora e scopri cosa c’è al di fuori del tuo mondo, non vuoi più tornare indietro. In più, soprattutto nelle cantine più piccole a conduzione familiare, c’è poco spazio per la sperimentazione e per la crescita personale. Una volta che hai imparato il lavoro, diventa ripetitivo se non hai modo di provare a cambiare le cose”.

Come si racconta il vino nel 2021?
“Rispetto a quando ho iniziato, la novità principale è quella della centralità dei social network, con i suoi pro e contro. È bello che ci sia per tutti la possibilità di aprire un profilo e dare la propria opinione, ma senza le dovute competenze e la giusta esperienza, si corre il rischio di abbassare la qualità del racconto, confondendo il lettore. Altra novità è quella di poter visitare le cantine tutto l’anno, mentre prima erano poche le realtà attrezzate per l’accoglienza e manifestazioni come “Cantine Aperte” diventavano l’unica occasione per il pubblico di conoscere da vicino tutti gli aspetti del mondo del vino. Ovviamente se vuoi aprire le porte della tua azienda, devi essere preparato a raccontarla nel modo giusto e questa cosa dovrà essere tenuta sempre più in considerazione”.

Parliamo di social media.
“A parte Vivino, che però è un social sui generis ed è popolato esclusivamente da consumatori, anche il vino si muove sui trend principali e quindi in questo momento Instagram va per la maggiore e Facebook continua ad avere la sua fetta importante di mercato. Comunicare il vino sui social media è difficile, perchè manca del tutto il lato esperienziale. Per ovviare a questa mancanza bisogna creare un rapporto di fiducia con il proprio seguito. Quando il lettore si appassiona al tuo modo di raccontare, è disposto a seguirti e ad ascoltare le tue impressioni e i tuoi suggerimenti. Lo stesso vale per le aziende: con la giusta comunicazione, hai la possibilità di raggiungere un pubblico molto vasto, spesso anche al di là del valore intrinseco del vino che produci. Ci sono esempi come quello di Barbacan (cantina che tra le prime in Italia ha aperto anche un canale su TikTok – ndr) che spiegano molto bene come oggi con un modo di raccontarsi simpatico e spontaneo si possa creare una community fedele. La curiosità verso il prodotto arriverà di conseguenza”.

I social stanno realmente aiutando a fare cultura nel mondo del vino?
“Possono farlo, ma dipende tutto dalla consapevolezza, da una parte e dall’altra. Io sono convinta che quando una persona decide di fare comunicazione, debba farlo con coscienza, a maggior ragione quando si parla di vino, perchè oltre alla parte emozionale ed esperienziale, si tratta comunque di un alimento e oltretutto ha una componente alcolica che non va dimenticata. Se si comunica nel modo giusto, con competenza e savoir faire, e se dall’altra parte le persone sono predisposte ad ascoltarti senza pregiudizi, il messaggio passa e si può fare cultura. Se invece lo si fa in tono saccente parlando da un pulpito, si crea una barriera difficilmente sormontabile”.

Le nuove forme di comunicazione nate durante il lockdown, come le degustazioni online, hanno un futuro secondo te?
“Come professionista devo riconoscere che questi nuovi mezzi di comunicazione presentano diversi vantaggi, come ad esempio l’aumento delle occasioni di confronto con i colleghi, annullando le distanze. Fa sempre piacere incontrare, seppur in modo virtuale, persone che magari dal vivo si incrociano giusto un paio di volte l’anno ai grandi eventi. In più il fatto di poter gestire le degustazioni nella comodità della propria casa consente a tutti di concentrarsi ancora meglio sull’obiettivo della discussione, eliminando imprevisti e distrazioni. Per quanto riguarda il grande pubblico invece, si è aperta una possibilità nuova, anche per chi non avrebbe mai pensato di condividere un’esperienza come quella dell’assaggio di un vino con persone sconosciute, magari partecipando attivamente con domande e osservazioni”.

Non trovi che la spesa per una degustazione online sia un po’ limitante per l’utente privato?
“Sicuramente rispetto a un evento dal vivo, in cui con un unico biglietto di ingresso hai la possibilità di assaggiare un certo numero di vini, il costo è maggiore ma dall’altra parte c’è il vantaggio di non dover per forza aprire la bottiglia durante la degustazione: la persona può anche decidere di conservare il vino per la giusta occasione; questo non impedisce di partecipare alla discussione e imparare comunque qualcosa di nuovo. All’estero ad esempio sono stati molto veloci ad adottare soluzioni alternative, come quella del vino porzionato in buste riciclabili o in piccoli tetrapak”.

Come vedi oggi il ruolo delle donne nel mondo del vino e in particolare sui social?
“Io sono dell’idea che se c’è competenza, tutto il resto debba passare in secondo piano. Sui social ad esempio si sottolinea il fatto che molte donne mettono in evidenza la fisicità e la bellezza a discapito del contenuto del messaggio. Io credo che la questione vada messa nella giusta ottica e cioè, come si dice, che la malizia sta tutta negli occhi di chi guarda. Se in una foto ti fermi a guardare la bellezza della persona e non la bottiglia di vino, probabilmente sei più interessato a quello. Intendiamoci, non c’è niente di male se tutto rimane entro limiti leciti. Il problema vero nasce nel momento in cui gli uomini (ma anche alcune donne a dire la verità) entrano nella sfera della libertà personale. Per fare un esempio, se una donna decide di fare una foto provocante per comunicare un vino, dev’essere una sua libera scelta. Si può dissentire e si può criticare, ma non si può impedirle di farlo comunque”.

Qual è il tuo vino del cuore?
“Il mio vino del cuore rimane sempre l’Amarone. I primi vini che ho fatto in realtà sono stati il Chiaretto, il Custoza e il Bardolino, ma l’esperienza che ricordo ancora oggi con più affetto è quella con l’Amarone. Abituata alla classica vendemmia di fine estate, mi sono ritrovata di colpo a lavorare in un inverno freddo e piovoso, con le mani screpolate e sporche di nero e i piedi sempre inzuppati. Essere “sopravvissuta” a questa esperienza e ricordarla anzi come un momento felice mi ha fatto capire che il vino era veramente una mia grande passione e il mondo in cui avrei voluto lavorare”.

C’è qualcosa che ti manca?
“Qualche tempo fa ti avrei risposto che forse mi mancava il lavoro in cantina, ma ultimamente ho ricominciato a collaborare con qualche azienda come consulente. Quello che mi manca veramente è la possibilità di raccontare le cose ad un pubblico sempre più grande. Sono arrivata ad un momento del mio percorso in cui mi sento talmente coinvolta e appassionata che avverto l’esigenza di una cassa di risonanza per condividere al meglio le mie esperienze. Il vino non ha una voce, soprattutto a bottiglia chiusa. Io sui social non posso dargli un profumo e un gusto, ma posso dare voce al suo racconto“.

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