Selezioni parcellari a prezzi ragionevoli: Italia

Proseguiamo oggi sulle strade del belpaese il viaggio iniziato la settimana scorsa in Francia (qui il link all’articolo) alla ricerca di selezioni parcellari alla portata di tutti i portafogli e, al contempo, dal formidabile rapporto qualitativo, andando a visitare due piccole realtà artigianali che si sono distinte in tal senso. La secolare cultura transalpina del vino mono vigneto ha mosso i primi timidi passi nel nostro stivale soltanto alla fine degli anni Sessanta, trovando terreno fertile dapprima in Piemonte e in Toscana, per poi dilagare a macchia d’olio su tutto il territorio nei decenni successivi.

Il Consorzio del Gallo Nero ha di recente messo a disposizione dei vignaioli del Chianti Classico le cosiddette Unità Geografiche Aggiuntive che consentono proprio di comunicare al consumatore la loro aderenza al terroir, un primo passo verso l’imminente possibilità di menzionare in etichetta la vigna stessa. È sufficiente confrontare una delle primissime guide dei vini d’Italia con una versione più recente per accorgersi che nel primo caso le cuvée parcellari si potevano contare con le dita delle mani, mentre nel secondo diventa inevitabile l’ausilio della calcolatrice. Sono scelte importanti che il mercato è pronto a recepisce e a premiare.

Nell’episodio precedente abbiamo acceso i riflettori sul significato di due vocaboli, ‘climat’ e ‘lieu-dit’, largamente utilizzati dalla maggior parte delle regioni vitivinicole d’oltralpe per identificare e delimitare uno specifico appezzamento che vanta un terroir dalle caratteristiche univoche e distintive. In Italia, invece, si è da sempre preferita l’applicazione del termine cru, altro sostantivo di origine francofona nato dal participio passato del verbo ‘croître’ – ovvero “ciò che cresce in una regione” – e universalmente utilizzato nel mondo del vino proprio per indicare un particolare vigneto che è cresciuto in una determinata zona e dal quale si ottiene un prodotto di eccellenza.

Un fondamentale contributo allo sviluppo di tale rivoluzione va riconosciuto al giornalista Alessandro Masnaghetti che nel 1994, insieme a Veronelli, ha dato alle stampe la prima mappa geo-viticola italiana con minuziosa rappresentazione grafica di tutti i crus del Barbaresco, esperienza successivamente replicata nei comprensori di Barolo, del Monferrato casalese, della Valpolicella, di Orvieto, del Chianti Classico e della Franciacorta. Il nostro itinerario non può pertanto che avere inizio laddove tutto è cominciato dal punto di vista cartografico e siamo così tornati a visitare una realtà vitivinicola a noi particolarmente cara, conosciuta grazie al compianto amico Vittorio, protagonista di uno dei primissimi articoli del nostro magazine.

FAMIGLIA ADRIANO

La tenuta Adriano Marco e Vittorio festeggia quest’anno i trent’anni dalla fondazione ufficiale, avvenuta nel 1994 per opera dei fratelli Marco e Vittorio con le rispettive consorti Luciana e Grazia. In effetti l’azienda agricola a conduzione familiare nasce negli anni Sessanta quando Aldo Adriano, figlio di mezzadri impegnati nella coltivazione dell’uva, acquista insieme alla moglie Maddalena la prima cascina a San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba adagiata sulle colline sud-occidentali del Barbaresco. L’ingresso nel 2014 di Michela, figlia di Vittorio, in affiancamento a mamma Grazia nel ruolo di export manager ha contribuito allo sviluppo di nuovi mercati e all’ulteriore crescita della compagine societaria che è oggi strutturata per accogliere anche il contributo delle nuove leve: la più giovane sorella Sofia e i cugini Elisa e Andrea.

Attualmente l’azienda dispone di una superficie totale di 50 ettari, suddivisa tra 10 ettari di alberi da squisite nocciole, altrettanti di boschi o terreni a riposo e 30 vitati con coltivazione di Nebbiolo da Barbaresco, Barbera, Dolcetto, Freisa, Sauvignon Blanc e Moscato Bianco. Gli Adriano vinificano esclusivamente uve di proprietà con l’obiettivo di confezionare vini rappresentativi del microclima di provenienza. Gran parte di esse maturano nell’incontaminato habitat della vallata di Seno d’Elvio (in dialetto ‘sanadaive’), dove i suoli sono ricchi di marne di colore variabile dal grigio chiaro al bluastro, le pendenze molto marcate e l’uso di diserbanti da parecchio tempo bandito. I filari non diserbati si inerpicano sopra un arioso noccioleto e sono cinti da floridi boschi, salvaguardati come elemento di biodiversità ed energia microclimatica.

Nel suggestivo anfiteatro naturale che ospita i vigneti Mottura e Avoglieri Argantino nascono rispettivamente il Sauvignon Basaricò e il Nebbiolo Cainassa. il primo colpisce per la scorrevolezza della beva e l’intenso effluvio varietale con basilico, foglia di pomodoro e agrumi tropicali in primo piano, mentre il secondo stuzzica l’apparato olfattivo con un prorompente profumo di violetta candita, al quale fanno eco in bocca succosi aromi di piccoli frutti a bacca rossa e balsamiche pennellate minerali. Il Barbaresco Sanadaive magnifica il terroir dell’omonimo appezzamento con un personalissimo profilo silvestre dove fiori di bosco ed erbe aromatiche si mescolano armoniosamente con bacche nere di rovo e radice di liquirizia, sentori che ritroviamo puntualmente nel sorso caldo, morbido e avvolgente.

Le uve provenienti dall’unica parcella ubicata nel comune di Neive scolpiscono il più raffinato e austero Barbaresco Basarin, un piccolo capolavoro dal fulgido tessuto rosso granato e dall’espansivo bouquet primario di petali di rosa, cassis, muschio, tabacco e chiodi di garofano, capace di avvolgere e deliziare il palato con una trama tannica serrata e una vigorosa ma elegante persistenza. La versione Riserva amplifica con garbo e nitidezza tali sensazioni, aggiungendo al profilo del fratello minore toni caldi e speziati di caffè, cioccolato fondente e pepe nero che lasciano presagire evoluzioni future intriganti e luminose, quando l’unghia si tinge di riflessi aranciati e al naso affiora il caratteristico retrogusto varietale di goudron.

Dal cuore delle Langhe ci spostiamo in Lunigiana e più precisamente alla tenuta Terenzuola di Fosdinovo, sugli impervi e lussureggianti rilievi appenninici che separano l’alta Toscana dalla Liguria. La frastagliata costa tirrenica determina discontinuità nella disposizione dei vigneti, spesso celati dagli insediamenti turistici, donando peraltro ai grappoli una fragranza salmastra e una sapida dolcezza. In una stupenda posizione a 350 metri sul livello del mare e a cinque minuti d’auto dal mare, nel 1993 Ivan Giuliani ha costruito il suo progetto di vita iniziando a lavorare da autodidatta i tre ettari di famiglia coltivati a vite, olivo e ortaggi. Le uve che il nonno e gli zii vinificavano per il proprio consumo e per una limitata vendita di vino sfuso vengono da lui imbottigliate e proposte sulle tavole della ristorazione locale.

MARCO NICOLINI E IVAN GIULIANI

Adempiuti gli obblighi del servizio di leva in Friuli, dove coglie l’occasione per confrontarsi con i vignaioli locali e apprendere nuove tecniche, tra anni dopo crea nuovi vigneti nel suo podere e si avventura alla ricerca di vecchie vigne nei circostanti territori della zona pedecollinare di Fosdinovo, Castelnuovo e Sarzana. Con la vendemmia del 1999 avvia un progetto ambizioso di ulteriore ampliamento della superficie vitata e di ristrutturazione del vecchio fienile per allestire una più moderna e attrezzata cantina. Il successivo coinvolgimento in azienda dell’amico Marco Nicolini, storico agricoltore locale, consente un definitivo consolidamento strutturale dell’azienda che oggi può contare su ben 22 ettari vitati che spaziano dai Colli di Luni ai terreni del Candia (all’ombra delle Cave di Marmo tra Massa e Carrara) fino ai terrazzamenti eroici delle Cinque Terre liguri e su 9 etichette in portafoglio.

Le selezioni parcellari bianche rendono omaggio al proverbiale carattere mediterraneo della varietà Vermentino, esaltato dall’identitario stile produttivo del suo autore: vendemmie tardive, lunghe macerazioni e fermentazioni spontanee. Il Vermentino Bianco Vigne Basse, unica versione con minimale contributo di Albarola, regala una beva immediata e godibile grazie al delicato bouquet di fiori selvatici e frutta gialla che ricama la trama fresca e scattante. L’ormai iconico Vermentino Fosso di Corzano non ha bisogno di presentazioni e si conferma il fiore all’occhiello della tenuta con la sua travolgente spinta minerale che imperla i luminosi sentori di agrumi maturi, miele di eucalipto e gariga in una avvolgente cornice balsamica.

L’ultimo nato è un’autentica chicca marina: dai più vocati filari siti nel cuore del ripido vigneto del Fosso di Corsano sotto i due emblematici alberi centenari, nelle migliori vendemmie le uve confluiscono nella cuvée I Pini di Corzano, un vino profondo e verticale che incanta per purezza cristallina e iodata fragranza. Il cerchio si chiude con il Costa Toscana Permano, dove le vecchie vigne del Candia apuano, piantate nella prima decade del Novecento con varietà Trebbiano e Vermentino, sussurrano storie di calcite, di sole e di vento: ecco deflagrare un intenso effluvio di frutta secca a guscio e di erbe aromatiche, ben stemperato in bocca dalla sapida venatura gessosa e dal vivace retrogusto citrino.

Il degno epilogo della degustazione è riservato al rosso più prestigioso della tenuta, il Costa Toscana Forma Alta, blend di uve Vermentino nero e Massaretta allevate a loro volta nell’ultrasecolare appezzamento carrarese. Il luminoso colore rosso porpora carico e i golosi profumi di violetta, gelsi e amarena introducono un sorso succoso e fruttato che si arricchisce di elegante speziatura – tipica dei vini da impianti prefilloserici – nel lungo e amaricante finale.

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