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San Felice, il Chianti con uno sguardo al futuro

Ci sono luoghi che meritano una visita almeno una volta nella vita. Uno di questi è sicuramente San Felice, antico borgo medievale circondato dai vigneti tra le colline del Chianti, a Castelnuovo Berardenga. Un albergo diffuso di lusso, due ristoranti e soprattutto una realtà vinicola tra le più conosciute del territorio, con una passato importante ma con uno sguardo deciso verso il futuro.

Per conoscere meglio la storia e la filosofia dell’azienda toscana, ci siamo fatti accompagnare da Carlo De Biasi, direttore generale di San Felice, nominato poche settimane fa presidente della prestigiosa associazione Lien de la Vigne.

carlo de biasi

CARLO DE BIASI

Partiamo dall’inizio…
“San Felice è un borgo dell’Alto Medioevo la cui testimonianza più antica risale alla Pieve del 714. L’azienda, tra i soci fondatori del Consorzio Chianti Classico nel 1924, ha coltivato vigneti e oliveti per conto della famiglia Grisaldi del Taja fino al 1968, quando viene ceduta ad un gruppo privato che introduce alcune di quelle politiche che segneranno l’evoluzione di questo territorio. Nascono così i primi due vini di San Felice, Il Grigio Chianti classico, prodotto iconico in catalogo ancora oggi, e il Vigorello, da uve 100% Sangiovese, che non poteva rientrare nella denominazione perché all’epoca il disciplinare prevedeva una quota di uva bianca. Primo fra tutti i produttori di questa zona, San Felice decide di declassare un Chianti Classico a vino da tavola, creando di fatto il capostipite dei Supertuscan, a cui seguirà nel 1971 il Tignanello e via via tutti gli altri. Nel 1978 è la volta di Poggio Rosso, il primo Chianti Classico da singolo vigneto.”

Fiore all’occhiello di San Felice è sicuramente il Vitiarium. Di cosa si tratta nel dettaglio?
“Quando in Italia si inizia a cercare di migliorare la qualità dei vini, introducendo le varietà internazionali come Cabernet, Merlot e Syrah, parte un progetto, basato su quattro tesi di laurea delle Università di Firenze e di Pisa. Nasce così Vitiarium, una collezione di 290 biotipi in via di estinzione che viene portata a San Felice, radunando in un solo vigneto gli autoctoni della Toscana, per conservare un patrimonio genetico molto importante per la storia della viticoltura della regione. Il nome Vitiarium si presta a diverse interpretazioni e personalmente quella che preferisco è “collezione di vitigni viziati”, cioè quelle uve che avevano caratteristiche poco valorizzate e quindi si abbandonavano, perché non producevano tanto, perché maturavano tardi o perché avevano il grappolo piccolo e compatto. Questa collezione viene rinnovata nei primi anni 2000 e oggi occupa circa 2,5 ettari. L’analisi del DNA ha permesso poi di razionalizzare le varietà attuali a poco più di 100, poichè ci si è resi conto che molte piante avevano semplicemente nomi diversi in base al territorio. Oggi, questo vigneto è fondamentale a livello agronomico perché testimonia della resilienza, della risposta delle piante al cambiamento climatico.”

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San Felice punta molto su sostenibilità e innovazione…
“Nei primi anni 2000 si è iniziato a parlare di sostenibilità in ambito vitivinicolo. Alcune aziende come San Felice, Zonin, Planeta, Tasca d’Almerita, Ruffino, Santa Margherita facevano parte di questi progetti pilota. Ci si confrontava sullo sviluppo e l’adozione di protocolli che, con il supporto delle Università di Piacenza e di Milano, permettessero di fare alcuni passi verso una maggiore sostenibilità nella gestione delle campagne: l’abolizione dei diserbi, la riduzione degli insetticidi, l’utilizzo di prodotti molto mirati. Questo a testimonianza del fatto che San Felice è stata un’azienda pionieristica sotto questo aspetto, nonchè la prima presso la quale si è instaurata la scuola di potatura Simonit e Sirch. Siamo sempre stati molto attenti all’innovazione, cercando di restare al passo con i tempi, se non addirittura di anticiparli, assumendoci l’onere e l’onore di testare prima di altri soluzioni e percorsi che poi sono diventati estremamente attuali, come quello della sostenibilità.”

Quali pratiche state adottando?
“Siamo andati in conversione biologica su tutte le nostre tenute. Abbiamo ottenuto la certificazione Equitas e siamo tra le 50 aziende a livello globale, nonchè gli unici in Italia, ad aver adottato il modello della Viticoltura Rigenerativa Biologica creato da Familia Torres. Tra di noi ci confrontiamo continuamente su come migliorare la qualità delle produzioni in un contesto di forte cambiamento climatico, dove alcune risorse come l’acqua saranno sempre più limitate. San Felice è anche partner del progetto LIFE VitiCaSe, un’iniziativa volta a promuovere l’adozione di pratiche agricole che riducano le emissioni di gas serra e incrementino il sequestro del carbonio nei suoli. Questo progetto di open innovation vede la collaborazione con importanti centri di ricerca come CREA Agricoltura e Ambiente e CREA Politiche e Bioeconomia, insieme a Confagricoltura Siena, per favorire l’innovazione e la sostenibilità nel settore agricolo.”

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Come si affronta il cambiamento climatico?
“La mia formazione è prettamente tecnica, io sono enotecnico e agronomo. Ho cercato fin dal mio arrivo tre anni fa di dare un contributo sulla qualità, sul modo di impostare l’aspetto produttivo. Perché il cambiamento del contesto climatico impone una variazione anche dei modelli adottati finora. Il contesto è completamente cambiato: se nel secolo scorso si gestiva il Sangiovese cercando di contenerlo, perché era esuberante, produttivo e maturava tardi, con tutte le conseguenze del caso, oggi siamo all’opposto, con produzioni ridotte e i colpi di calore e la siccità che hanno un forte impatto quantitativo. La dotazione organica dei suoli in passato doveva essere limitata per avere equilibri produttivi adeguati. Ora avere suoli vivi con attività microbica e sostanza organica diventa un fattore chiave, vuol dire avere un vigneto più resiliente che si tramuta anche in una maggiore qualità di produzione, grazie ai principi della Viticoltura Rigenerativa.”

Facciamo un focus sul Pugnitello…
“Dal Vitiarium viene selezionato un vitigno, il Pugnitello, che oggi ha a coltivazione circa 40 ettari in tutta la Toscana, soprattutto in Maremma, 15 dei quali sono a San Felice. La varietà è estremamente interessante, perché in un contesto come quello odierno di cambiamento climatico, con un grosso anticipo delle maturazioni (vent’anni fa la vendemmia qui iniziava intorno al 10 di ottobre mentre oggi si parte verso metà settembre), il Pugnitello viene ancora raccolto verso metà ottobre, preservando un profilo di acidità e fragranza che nel taglio con il Sangiovese, come permesso dal disciplinare, dona vivacità e freschezza. Queste caratteristiche, che lo rendono unico sotto il profilo organolettico, sono la firma stilistica del nostro Chianti Classico.”

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Come vedi oggi la situazione del Chianti Classico?
“Dal post Covid secondo me il Chianti Classico è uscito molto bene, rafforzando il posizionamento generale. Negli ultimi anni il prezzo medio delle tre tipologie, annata, Riserva e Gran Selezione è andato in crescita su tutti i mercati e i numeri che condividiamo con il Consorzio rafforzano questa questa visione. I festeggiamenti per i 100 anni, il Gallo Nero in copertina su Wine Spectator, il fatto di essere la più antica denominazione italiana sono tutti fattori che aiutano a rafforzare l’immagine. Vedo poi tanto lavoro di ricerca sul campo, di cura e di spinta verso una qualità media che continua a crescere.”

Il progetto più recente che avete lanciato è la linea Vitiarium. Di cosa si tratta?
Vitiarium nasce con l’idea di dare concretezza ad una serie di azioni che erano rimaste un po’ all’interno di San Felice. Penso alla selezione delle diverse varietà, all’impianto di vitigni a bacca bianca o allo sviluppo attorno al borgo di una ventina di ettari a Sangiovese con un’alta densità di impianto, intorno alle 9.000 piante per ettaro. Investimenti fatti per creare un vino che forse rappresentativo dello Chateau, che in realtà non è mai stato realizzato. Abbiamo ripreso questi progetti traducendoli in una gamma di vini che è composta da Il Borgo Chianti Classico, la Pieve Gran Selezione (a ricordare la testimonianza più antica di San Felice) che è uscita a settembre e il Pugnitello, che viene prodotto dal 2010 ed è stato riproposto in questa nuova linea. Chiudiamo con In Avane, un bianco a base Chardonnay, ma con la presenza di altre varietà minori a bacca bianca. Abbiamo voluto creare la linea Vitiarium per rappresentare l’identità, la storia e il percorso di tutti questi anni a San Felice. Nel 2025 ci saranno una serie di eventi di lancio anche negli Stati Uniti, che si articoleranno anche con la proposta dei prodotti storici della cantina.”

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Quali sono le altre aziende della famiglia San Felice?
“San Felice si connota come espressione delle tre più importanti denominazioni della Toscana. Negli anni ’80 acquisisce Campogiovanni, tenuta nella parte sud-ovest di Montalcino, dove oggi abbiamo 23 ettari di vigneto in gestione autonoma con la cantina, l’imbottigliamento e il confezionamento. Nel 2016, poi, vengono acquisiti alcuni ettari di vigneti a Bolgheri e due anni fa viene rilevata Batzella, l’azienda nata nei primi anni 2000 con Franco Batzella, facendo nascere così Bell’Aja, che conta una quindicina di ettari tutti a Bolgheri Doc. Questo ci tengo a sottolinearlo, visto che oggi tutti stanno comprando vigneti o terreni in zona ma possono solo produrre IGT Toscana, perché la DOC è chiusa. A gennaio siamo partiti con la costruzione della cantina, per poter lavorare queste uve in maniera più qualitativa rispetto al passato. Abbiamo raggiunto grandi traguardi con queste due tenute: Campogiovanni ha scalato le vette della Top 100 di Wine Spectator con diverse annate, consolidando il suo prestigio all’interno della denominazione. Mentre Bell’Aja sta diventando un punto di riferimento, sia a livello nazionale che internazionale, della DOC Bolgheri.”

Traduciamo tutto questo in numeri…
“Il mio arrivo a San Felice vuole affermare un certo modo di vedere la produzione: mettere in bottiglia ciò che la terra ci dà. Oggi abbiamo circa 160 ettari di vigneti Chianti Classico per una produzione che si attesta sulle 850.000 bottiglie. A Montalcino produciamo all’incirca 100.000 bottiglie e a Bolgheri siamo attorno alle 70.000. Stati Uniti, Italia e Canada compongono circa il 75% del nostro mercato, mentre il resto è suddiviso tra Nord Europa, Uk, Asia (in particolare Corea) e Svizzera. Siamo contenti perchè negli ultimi due o tre anni stiamo crescendo molto sul mercato interno.”

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Cos’è L’Orto e l’Aia Felice?
“L’orto è importante perché completa quella visione di San Felice iniziata negli anni 2000 sulla sostenibilità. È un bellissimo progetto in collaborazione tra Fondazione Allianz Umana Mente e una cooperativa di ragazzi con diverse abilità, che non lavorano solo l’orto ma anche una parte di vigneto, per imparare le tecniche di coltivazione della vite. Si producono con metodo biologico tutti quegli ortaggi che poi vengono utilizzati nei due ristoranti di San Felice e nella mensa aziendale. L’orto e l’aia rappresentano un importante aspetto sociale di collaborazione e di inserimento nel mondo del lavoro. Il progetto non coinvolge solo i ragazzi, alcuni dei quali hanno iniziato a lavorare stabilmente da noi, ma anche alcuni pensionato di Castelnuovo che vengono spesso a dare una mano.”

L’accoglienza è un altro vostro punto di forza…
“San Felice è un luogo dove venire a immergersi nella natura, nella Toscana più vera. Tutto il borgo medioevale oggi è un albergo diffuso 5 stelle lusso che fa parte di Relais & Châteaux, quindi con un’offerta di altissimo livello qualitativo. È un’esperienza del vino e della gastronomia, con un ristorante stellato, Il Poggio Rosso, diretto dallo chef Juan Camilo Quintero con la supervisione di Enrico Bartolini e l’Osteria del Grigio, che invece ha una proposta di cucina tipica toscana. Chi viene a San Felice si immerge in un modo particolare di vivere il silenzio e la bellezza della natura.”

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Come è cambiata la clientela nel corso degli anni?
“Vedo una presenza costante in enoteca e ciò significa che tante persone non si limitano alla semplice visita al borgo, ma vogliono scoprire dove sono venute, conoscere il territorio e la produzione. Abbiamo quattro persone che si occupano a tempo pieno dell’ospitalità e delle degustazioni, quindi l’impressione è quella di di una clientela attenta. Sicuramente il nostro cliente medio è alto spendente, ma ci sono anche tanti giovani che si approcciano al vino con curiosità e questo mi fa ben sperare, visto che si dice che i consumi sono destinati a calare perchè le nuove generazioni cercano altre cose. Il quadro generale almeno qui sembra leggermente diverso.”

Cosa c’è nel futuro di San Felice?
“Stiamo cercando di rappresentare attraverso i nostri vini l’identità e la produzione del territorio di Castelnuovo Berardenga. Posso fare un’anticipazione su un progetto a cui stiamo lavorando al momento. I suoli di San Felice hanno tre origini geologiche diverse: c’è una tipologia predominante che è quella classica del macigno del Chianti (galestro e alberese) e ci sono poi due porzioni con origini completamente diverse, con basi più sabbiose da una parte e invece argillose in un altro contesto. Vorremmo arrivare ad avere nella nostra gamma tre Gran Selezione della stessa annata, sempre 100% sangiovese, dai tre suoli differenti, che possano rappresentare l’espressione del vitigno di quell’anno. Questa è idealmente la punta della nostra piramide di qualità. È un lavoro lungo, sicuramente non banale, però ci consentirebbe di far capire ancora meglio l’identità e la variabilità di San Felice.”

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