OIV e Francia sfidano il cambiamento climatico
Dopo i catastrofici anni della fillossera, della prima guerra mondiale, del proibizionismo e dell’incontrollata diffusione di prodotti miscelati o adulterati, nel 1924 nasceva l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), un movimento intergovernativo creato da otto Paesi (Francia, Spagna, Grecia, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Tunisia) per fronteggiare il crollo della viticoltura europea e cooperare su un progetto condiviso per il rilancio di questa millenaria bevanda, grazie all’armonizzazione delle pratiche produttive e al sostegno della ricerca.
L’associazione, presieduta dall’italiano Luigi Moio, oggi conta cinquanta membri (il cinquantunesimo, la Cina, si unirà a novembre) che coprono l’88% della produzione mondiale e si appresta a celebrare in questi giorni il centenario sotto due altrettanto allarmanti minacce: da un lato un riscaldamento globale senza precedenti, dall’altra i profondi cambiamenti nelle preferenze dei giovani consumatori. Tali sconvolgimenti sono il fil rouge del suo 45° congresso in corso a Digione, nuova sede dell’ente. La manifestazione si concluderà con una conferenza ministeriale per dibattere sulla situazione globale dell’industria vinicola e sulla capacità della vite di adattarsi ancora una volta al “nuovo mondo che sta prendendo forma”.
Per quanto la produzione mondiale nel 2023 sia scesa al livello più basso dal 1961 a causa del maltempo e del consumo diminuito in un solo anno di ben tre punti percentuali, il neozelandese John Barker – primo direttore dell’OIV proveniente dall’emisfero australe – si dice ottimista per la proverbiale resistenza alle avversità di questo settore. “Il nostro mandato è tecnico e scientifico, non politico o promozionale”, spiega Barker. “Credo che i Paesi comprendano il potere di lavorare insieme, condividere le conoscenze, trovare risposte e approcci comuni”.
Sovente soprannominata ‘l’ONU del vino’, l’OIV collabora anche al Codex Alimentarius, un compendio globale di norme sanitarie sul cibo istituito dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, e partecipa attivamente alle conferenze sul clima (COP). “Oggi il cambiamento climatico è una delle nostre maggiori sfide”, sottolinea sempre Barker. “Abbiamo una pianta perenne che spesso si trova in luoghi sempre più vulnerabili, ma confidiamo nella sua formidabile capacità di adattamento. Lavorare in modo sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale è essenziale per adattarsi ai cambiamenti climatici e rappresenta la chiave per vincere la sfida. Non solo, è quello che ci chiede il mercato stesso. Una parte fondamentale del nostro lavoro si concentra infine sui vitigni: ne esistono 13.000 e all’interno di questo ricco patrimonio c’è il potenziale per trovare varietà o sottotipi di varietà adatte a habitat particolari o semplicemente ai gusti contemporanei”.
Sopra un vasto terreno del collegio viticolo di Blanquefort, nella regione di Bordeaux, una serra a prova di insetti dall’atmosfera quasi tropicale sperimenta la crescita di tralci di vitigni locali a un metro da terra su lana di roccia, cercando di prefigurare il futuro della vite. Questa struttura di vetro di 800 metri quadrati viene utilizzata come dimostratore della possibilità di accelerare la produzione di uve pregiate da vino, garantendo al contempo la loro sicurezza dal punto di vista sanitario.
“Non abbiamo mai lavorato in condizioni così estreme”, afferma David Amblevert – presidente della Federazione francese dei vivai di vite e segretario della Camera dell’Agricoltura della Gironda – responsabile del progetto nell’ambito del Vinopôle Bordeaux-Aquitaine con il sostegno finanziario della regione. In una fase storica di progressiva riduzione dei prodotti fitosanitari, questo impianto incontaminato può essere utilizzato per proteggere portainnesti e tralci (qui in fase di “pre-moltiplicazione” a favore dei vivaisti) dalle malattie trasmesse dagli insetti come la flavescenza dorata, causata dalle cavallette, e la xylella fastidiosa, un batterio il cui ceppo attacca aggressivamente la vite.
La coltivazione in serra senza suolo mira a dimezzare i tempi di sviluppo di una pianta di vite rispetto al processo tradizionale con il preciso scopo di supportare l’industria vinicola, scossa dagli effetti del cambiamento climatico, nell’affinamento d varietà più adatte e resistenti. L’obiettivo è produrre fino a 100.000 tralci e 100.000 portainnesti all’anno in condizioni paradossalmente ottimali. “Abbiamo ancora molto da imparare”, sottolinea Laurent Bernos – direttore dell’Unità di Viticoltura-Enologia della Camera dell’Agricoltura della Gironda – che sottolinea l’evidenza di comportamenti assai diversi tra le varie piante che crescono in serra. “Ma in tre mesi nessuna di esse è morta e, quindi, il primo traguardo è stato raggiunto con successo”.
Con un costo di due milioni di euro l’impianto, di cui una piccola parte è dedicata all’uva Ugni Blanc della Charente per la produzione del Cognac e il resto ai vitigni dei classici tagli bordolesi (Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc in primis), dovrebbe essere ampliato o trasferito entro il 2026. Un progetto simile, chiamato Qanopée, è stato realizzato nei pressi di Épernay (Marna), con una serra dedicata alle varietà autoctone di Champagne, Borgogna, Jura e Beaujolais, mentre analoghe iniziative sono previste a stretto giro anche nella Valle della Loira e in Occitania.
Il resoconto dell’esperienza di Blanquefort è stato uno dei momenti più suggestivi e apprezzati della seconda edizione della “Fête des Vendanges”, un fine settimana conviviale organizzato dalla Association de Grands Crus Classés de Saint-Émilion nell’omonimo borgo medievale il 12 e 13 ottobre scorso. Tra passeggiate nei vigneti, visite a siti emblematici, laboratori gastronomici, degustazioni esclusive e conferenze, il ricco programma ha contemplato anche una verticale di quattro annate di Château Grand Corbin-Despagne (2020, 2010, 2000, 1990) e il “Dîner de Gerbaude” nel parco del settecentesco Château de Ferrand, una cena della tradizione con assaggi di ben 55 Grands Crus Classés di Saint-Émilion, serviti esclusivamente in bottiglie dal formato magnum. La manifestazione si è conclusa con i pranzi conviviali della domenica nei lussuosi saloni di Château La Tour Figeac, Château Montlabert e Château La Croizille.