Marco Lazzaroni, il vino va in meta
Un metro e novanta per centodieci chilogrammi. A cosa si riferiscono queste misure? Un mostruoso alberello di uva? Una botte? Un qualche macchinario da usare in vigna o in cantina? Una bottiglia da guinness dei primati? Niente di tutto questo: sono l’altezza e il peso di Marco Lazzaroni, giocatore delle Benetton Rugby e della Nazionale italiana. Nato a Udine, classe ’95, Marco è friulano fino al midollo e, come i suoi conterranei, nutre una passione per il vino che ha trasformato nel suo…futuro lavoro.
“Il rugby si è evoluto – sottolinea Marco – trasformandosi in uno sport professionistico ma i compensi sono lontani da quelli del calcio, per fare un esempio. Una volta terminata la carriera sportiva è complicato rimettersi in gioco nel mondo del lavoro. A 30 anni come fai a fare la gavetta? E se non ci fosse stata la possibilità di studiare? Comunque la metti, rischi di trovare lavori di ripiego. Inoltre, questo sport è crudo, fatto di contatti e l’infortunio è sempre in agguato. Se ti fai male entri in un loop negativo e pensi solo a quando potrai tornare sul rettangolo verde, perché questo non è solo uno sport ma anche un lavoro.” “Io – continua – mi sono infortunato recentemente ma per fortuna ho una valvola di sfogo, un’altra passione alla quale dedicarmi in momenti simili: il vino. Da alcuni anni, ho intrapreso degli studi nel settore per acquisire le necessarie conoscenze per lavorarci in futuro mentre con la mia famiglia sto portando avanti la nostra cantina: Terre Lazzaroni.”
L’ingresso nel mondo del vino della famiglia di Marco risale al 2008 ma la cantina, di fatto, è nata nel 2015. “Tredici anni fa – ricorda Marco – papà ebbe l’idea di comprare due ettari e mezzo di terreno coltivato a vite nei colli orientali del Friuli, zona vocata storicamente alla viticultura. Così, acquistò un vigneto abbandonato per riqualificarlo assieme a mio fratello, che di professione fa l’ingegnere. Quell’area che, per vari motivi, è rimasta a lungo ferma, è diventata il mio piano B; mi sono iscritto a enologia e con i miei parenti abbiamo deciso di non vendere la terra e di iniziare a produrre vino, consigliati da amici di famiglia operanti nel settore.”
Il primo passo per papà Pietro, Marco e suo fratello Luca è stato quello di scegliere su quali vitigni puntare: merlot, refosco dal peduncolo rosso, friulano e chardonnay. “Le piante di chardonnay sono ancora troppo giovani per produrre, mentre col merlot e il refosco facciamo un blend; le percentuali nell’uvaggio possono subire delle variazioni significative perché il refosco è un’uva delicata e bisogna proteggerla da insetti e malattie con le unghie e i denti. Tutte le uve sono raccolte e selezionate a mano, senza uso di macchinari: partiamo da una qualità del prodotto di base molto alta. Questo rosso riposa 24 mesi in barrique di rovere francese prima di essere imbottigliato, ulteriormente affinato e messo in vendita. Anche il friulano fa un passaggio in legno.”
In questi due ettari di terra, a San Giovanni al Natisone, la famiglia Lazzaroni produce 900 bottiglie per tipologia, tutte millesimate: “Presto pianteremo anche del sauvignon blanc, particolarmente adatto ai nostri terreni argillosi, e la ribolla gialla, un vitigno autoctono. Quest’ultima operazione, tuttavia, sarà possibile solo se acquisiremo dei terreni con una particolare esposizione al sole, altrimenti la pianta soffrirebbe. Un passo alla volta, tutti accuratamente studiati.”
La vita in vigna e in cantina è il secondo lavoro per la famiglia Lazzaroni: “Abbiamo altri sette ettari e potremmo affittarne altrettanti ma bisogna avere tempo per fare le cose. Attualmente, siamo soddisfatti di quanto facciamo, una produzione qualitativa di nicchia. L’obiettivo è arrivare a produrre tre bianchi e due rossi ma c’è tempo: prima voglio giocare a rugby.”
“La maggior parte della mia energia – spiega Marco – è per la palla ovale, che catalizza tutta la mia attenzione. Alla sei di mattina suona la sveglia, poi colazione e allenamenti su allenamenti prima di ogni match. È una vita che ti assorbe. Poi c’è lo studio, a distanza perché non posso frequentare, un fatto che a volte crea qualche difficoltà. Torno a casa, a Butrio, il mercoledì pomeriggio e nei weekend in cui non giochiamo.”
Dal mondo del rugby, non manca il supporto. Esposito, Benvenuti, Tiziano “Aquilotto” Pasquali e altri compagni di squadra si interessano al lavoro di Marco: “I giocatori sudafricani vengono da una realtà enologica di livello e i rugbisti in generale hanno una forte passione per l’enogastronomia. È vero che siamo atleti ma questo non ci impedisce di mangiare e bere bene.”