L’altro Vinitaly: International Wine Hall
Dopo aver raccontato l’edizione di Vinitaly appena conclusa attraverso le parole degli espositori e degli addetti ai lavori, ci concentriamo sulle due aree più particolari della kermesse veronese: il padiglione dedicato al biologico e quello riservato alla produzione vinicola internazionale, partendo da quest’ultimo.
L’International Wine Hall ha rappresentato un’interessante vetrina per i paesi emergenti, che si sono prodigati a presentare le etichette di punta dei vignaioli più meritevoli e a far conoscere al grande pubblico i vitigni autoctoni di maggiore spessore. È il caso delle varietà bianche slovene Zelen e Pinela o di quelle rosse Mavrud e Rubin della Bulgaria, emblemi di due nazioni presenti quest’anno in pompa magna con stand ariosi, organizzati e in grado di offrire una panoramica esaustiva dei propri rilevanti progressi enologici.
Zelen è un antico vitigno di alta qualità a bacca grossa dai grappoli robusti e dalla buona presenza di pruina nella buccia, già noto ai tempi dei romani con l’epiteto di “vino della fecondità”, che sforna sapide etichette in cui emergono singolari note aromatiche di fichi secchi, albicocca disidratata e mallo di noce. La Pinela predilige di contro bouquet floreali con spiccati sentori di frutta esotica su trame più acide e minerali, come attestano le ricorrenti sfumature finali di gesso e pietra.
Le due varietà originarie dei Balcani meridionali, per esattezza nella zona sotto la Valle delle Rose, tra la città di Plovdiv e il confine che separa la Bulgaria dalla Grecia e dalla Turchia, si caratterizzano invece per un registro antitetico che trova i propri punti di forza nella potenza strutturale e nei gagliardi effluvi di frutta rossa e pepe nero. Nonostante le evidenti affinità stilistiche, il Rubin nacque nell’immediato dopoguerra da un incrocio tra Nebbiolo e Syrah realizzato all’Istituto di Viticoltura ed Enologia di Pleven in Bulgaria e si diffuse su larga scala nei decenni successivi, mentre il Mavrud è un vitigno a maturazione tardiva risalente all’epoca degli antichi Traci e considerato tra i vitigni più antichi al mondo con una storia di oltre 3000 anni.
Le grandi nazioni del vino – Francia, Spagna, Germania, Australia e Stati Uniti d’America -, forti di manifestazioni vitivinicole a respiro internazionale di paritetica importanza, hanno invece scelto di non partecipare con stand istituzionali, lasciando spazio all’organizzazione di masterclass tematiche e ai distributori locali. Nella ricerca di perle enologiche dei cugini d’oltralpe ci siamo imbattuti in un paio di piccoli importatori emergenti che ci hanno sorpreso per l’accuratezza della selezione e per lo spessore della proposta commerciale.
Marco Morino e la sommelier parigina Delphine Chemla, spinti dalla comune passione per le grandi etichette delle più rinomate tenute francesi, decidono una decina di anni fa di trasformare il vino in professione e creano a Genova la ‘Vini di Francia Prêt-à-Importer’, società che importa in esclusiva per l’Italia una variegata selezione di bottiglie dall’encomiabile rapporto qualità/prezzo in grado di soddisfare anche i più esigenti ristoranti, alberghi, enoteche e wine-bar.
Il merito del crescente successo è sicuramente attribuibile alla politica di spaziare su tutte le regioni di primaria importanza – Champagne, Loira, Alsazia, Borgogna, Bordolese, Rodano, Linguadoca e Provenza – dando voce a piccole realtà artigianali che sintetizzano le migliori espressioni del rispettivo territorio. La ricerca di autentiche chicche enologiche è tangibile nella presenza in catalogo di tre sapidi e luminosi Muscadet dei Pays Nantais, ultimo lembo della Loira in dirittura dell’oceano Atlantico, e di altrettanti rosati provenzali che entusiasmano per il magnifico bilanciamento tra freschezza di beva e intensità del frutto.
Sul fronte borgognone spiccano i deliziosi rossi confezionati da Hervé Kerlann nella Côte d’Or per lo Château de Labord e i possenti bianchi del Domaine Jean-Pierre Séve, una piccola tenuta famigliare con splendidi vigneti sulle pendici della Roche de Solutré nella parte più alta dell’omonimo borgo del Mâconnais: il Pouilly-Fuissé 1er Cru Aux Chailloux 2020 regala un bouquet di verbena, mela verde, miele, gesso e salsedine che prelude a un sorso teso e vibrante, ravvivato da un piacevole retrogusto di zenzero e pepe bianco nell’agile chiusura acida.
Spostandoci a Bordeaux ci siamo fatti ammaliare dall’elegante e speziato Saint-Émilion 2018 dello Château Haut Jonqua, ultima scoperta di Delphine, e dalla travolgente e complessa aromaticità del mitico Sauternes dello Château Clos Haut-Peyraguey, uno degli undici Premier Grand Cru Classé designati nel 1855. Un plauso finale lo merita la pregevole batteria degli Champagnes, dove svettano le intriganti cuvées della celebre maison Chassenay d’Arce, tra cui una rarissima e insolita versione a base di Pinot Blanc in purezza dai profumi primaverili di fiori d’acacia e anice.
L’Enoteca Bottazzi nasce negli anni Cinquanta dall’intuizione di nonno Nello, appena trasferitosi a Varese dalla provincia di Reggio Emilia, il quale rileva una piccola bottega del centro storico di Besozzo con l’idea di commercializzarvi vini di qualità. Nei decenni successivi, l’azienda si sviluppa con successo grazie anche all’affiancamento del figlio Gino che introduce le prime referenze d’oltralpe e intravede le enormi potenzialità di un parallelo canale distributivo. I nipoti Bruno e Paolo completano questo percorso nel nuovo millennio, sposando la filosofia di canalizzare tutti gli sforzi di importazione sulle tre regioni vinicole del cuore – Borgogna, Champagne e Alsazia -, oggi presenti in catalogo con circa un centinaio di etichette.
La nostra attenzione è stata istintivamente catalizzata dal prestigioso Domaine Michel Magnien di Morey-Saint-Denis, storica cantina della Côte de Nuits diretta dal talentuoso rampollo Frédéric e punta di diamante del catalogo aziendale. L’entusiastico Bruno, amministratore delegato della società che preserva con orgoglio nel nome commerciale la storica insegna ‘Bottazzi dal 1957’, ci ha accordato il privilegio di assaggiare in sequenza tre formidabili fuoriclasse della maison.
Il Morey-Saint-Denis Blanc Monts Luisants 2016, di colore giallo paglierino molto brillante, coniuga con disarmante disinvoltura tensione minerale e sentori di agrumi su una trama vivace ed energica che si impreziosisce nel finale di dolci richiami speziati. Gli risponde un raffinato e seduttivo Gevrey-Chambertin Les Seuvrées Vieilles Vignes 2018, dove i caratteristici profumi di ribes e mirtillo del Pinot Noir si amalgamano a intriganti nuances di cannella, muschio e liquirizia che ritroviamo puntualmente nel sorso fresco, sapido e fruttato. Chiude in bellezza il sontuoso Gevrey-Chambertin 1er Cru Les Cazetieres 2017, un vino vellutato e verticale che si snoda tra naso e bocca con fulgide note di peonia, petali di rosa, piccoli frutti di bosco, scorza d’arancio e spezie nere e che quest’anno si aggiudica in scioltezza la palma di miglior assaggio dell’International Wine Hall.
Photo credits: Veronafiere – Ennevifoto