La nuova Sicilia del vino: Tenuta Palmeri
Per questa seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta di nuove realtà vitivinicole siciliane, ci spostiamo nell’estremo sud-est dell’isola, più precisamente a Avola, per andare a conoscere Tenuta Palmeri, azienda di proprietà dell’imprenditore svizzero Ueli Breitschmid. Ci facciamo raccontare la storia della cantina da Fabiana Parafioriti, responsabile commerciale e amministrativa.
Quando nasce Tenuta Palmeri?
“La tenuta è stata per molto tempo la residenza estiva dei Lutri, nobile famiglia di Avola che commerciava in agrumi e uva. Nel 2002 Ueli Breitschmid e la moglie Erika, in Sicilia per una vacanza, scoprirono per caso questa realtà, se ne innamorarono e nel giro di pochi mesi fecero la proposta d’acquisto. Loro possedevano già un’azienda vitivinicola nella Svizzera Tedesca e decisero di dare a Palmeri la stessa impronta internazionale, affiancando alle vecchie piante di nero d’Avola già presenti nuovi vitigni a bacca rossa come merlot, cabernet sauvignon e syrah, ai quali in un secondo momento vennero aggiunti quelli a bacca bianca. Il primo vino uscì nel 2009, mentre nel frattempo venivano acquisite altre particelle di terreno, fino ad arrivare ai circa 50 ettari di oggi, dei quali 12 vitati con 7 diverse cultivar.”
Quindi non producete solo vino.
“Abbiamo 10 ettari di uliveti e coltiviamo anche mandorli, agrumi, carrubi e grano della tradizione siciliana come il russello. Per i vini siamo certificati bio al 100% dal 2015, ma in realtà sin dall’arrivo della famiglia Breitschmid i terreni sono sempre stati trattati e gestiti come fossero biologici. Anche l’olio e i limoni sono già certificati, mentre per le altre produzioni siamo attualmente in conversione.”
Presentiamo il gruppo di lavoro…
“Antonio Campisi è l’enologo e gestisce tutta la tenuta, quindi non soltanto la produzione del vino ma anche le altre coltivazioni. Io sono entrata in azienda nel 2020 e mi occupo degli aspetti commerciali e amministrativi, dell’accoglienza e delle degustazioni che facciamo in cantina, nelle quali mi aiuta una ragazza, Antonella. Abbiamo poi dieci operatori presenti tutto l’anno che ruotano in relazione al periodo e alle lavorazioni.”
I proprietari vengono spesso a Avola?
“Sì, vengono più volte durante l’anno. Mettono da parte completi da ufficio e tailleur e vengono qui per riposarsi e godersi la natura. Stanno anche facendo altri investimenti agricoli sul territorio e ne approfittano per controllare che tutto vada bene. Spesso si fermano un paio di giorni, nel periodo estivo magari restano per un mese, poi tornano per Natale. Il loro interesse per la Sicilia non è legato soltanto alla questione economica, ma proprio al modo di vivere. A Ueli piace tantissimo andare al mercato, mischiarsi tra la gente, parlare con tutti.”
Il nome Avola è legato a doppio filo al mondo del vino. Per voi quanto è forte questo legame?
“Il legame è molto forte. Essere qui ad Avola è senza dubbio un vantaggio perchè le persone si avvicinano più facilmente alla cantina, che è la più grande della zona, spinte dalla ricerca del Nero d’Avola, che per noi è una chiave per introdurre poi anche gli altri prodotti. Abbiamo tre referenze a listino, con diversi tempi di raccolta. Partiamo dalla produzione dello spumante metodo Charmat con una raccolta nei primi giorni di agosto, per avere un’elevata acidità e una bassa maturazione. A metà agosto si vendemmia per il rosato fermo (Rosa), e dopo la metà di settembre facciamo la raccolta per il Nero, un rosso in purezza. Stiamo anche iniziando a produrre un Passito che presto andrà in bottiglia, con appassimento direttamente sulla pianta e vendemmia entro la seconda settimana di ottobre. Questa versatilità sulla produzione è un nostro punto di forza.”
Parliamo del territorio…
“Siamo molto vicini al mare ed abbiamo alle spalle il Monte Lauro, che ci protegge dai venti e dal maltempo che arriva dall’entroterra. I terreni sono prevalentemente calcarei, argillosi e sabbiosi. Abbiamo diverse particelle all’interno del territorio di Avola e la scelta dell’impianto varia in base alle caratteristiche del terreno e dell’esposizione. Per quanto riguarda il clima, sicuramente gli ultimi due anni sono stati un po’ atipici: nel 2021 abbiamo toccato i 50° per sei volte durante l’estate, con una grossa sofferenza per le piante. Abbiamo dovuto attivare l’irrigazione di soccorso e raccogliere le uve in notturna, perchè oltre i 35° nessuno può lavorare nei campi. Il 2022 è stato anch’esso molto caldo, però meno arido.”
Siete stati i primi a produrre vino biologico a Avola. Quanto è importante questo aspetto?
“La proprietà ha fatto una scelta ben precisa: coltivare le uve senza stravolgere il naturale continuum dei terreni, con un’impronta di tipo positivo e non di sfruttamento del territorio. L’approccio al biologico è stata una conseguenza naturale, non dettata dal mercato, ed è una costante per per tutte le proprietà sotto la denominazione Palmeri. Andando più nello specifico, per la gestione dei vigneti seminiamo favino e altre piante, anche floreali, che sono degli azoto-fissatori che servono al terreno per poter assorbire sostanze nutritive. Non utilizziamo alcun tipo di pesticida e nel limite del possibile usiamo ferormoni per combattere le malattie o le infestazioni delle piante. La raccolta è esclusivamente naturale, con una doppia selezione delle uve, anche in notturna: la prima viene fatta in vigna, la seconda invece avviene in cantina, su un tappeto vibrante. Potenzialmente potremmo arrivare a produrre all’incirca 100.000 bottiglie l’anno, ma preferiamo lavorare su numeri molto più bassi per ricercare la massima qualità delle uve.”
Una discussione molto attuale è quella sui solfiti aggiunti. Qual è il vostro punto di vista?
“Siamo in una zona della Sicilia che gode di circa 250 giorni di sole l’anno, quindi le nostre uve hanno un contenuto zuccherino decisamente alto. Il grado alcolico elevato che ne deriva, essendo l’alcol un conservante, ci permette di poter lavorare con un livello di solfiti ben al di sotto di quello stabilito dalla regolamentazione sul biologico. Dal 2019 Antonio ha sviluppato anche una nuova linea di vini senza solfiti aggiunti, composta da uno Chardonnay e dal Natur (100% syrah). La risposta del mercato è stata superiore alle aspettative e i vini mantengono intatte le caratteristiche organolettiche anche a distanza di più di due anni dall’imbottigliamento.”
Quali sono i vostri mercati di riferimento?
“La maggior parte delle vendite, circa il 70% , è verso l’estero. Siamo presenti in Islanda, Germania, Olanda, Belgio e naturalmente in Svizzera, che rappresenta il nostro hub. Un buon 20% è rappresentato dal settore Ho.Re.Ca. italiano, mentre il resto è vendita diretta, in forte aumento soprattutto negli ultimi due anni. Da maggio a ottobre abbiamo all’incirca 1000 persone che passano di qui per le degustazioni e naturalmente chi si ferma da noi, acquista anche vino. Il pubblico è prevalentemente internazionale, specialmente nel periodo estivo.”
Chiudiamo la panoramica sulle referenze…
“Il nostro entry level è rappresentato dal Celeste, un blend di Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon che fa all’incirca 12 mesi di barrique. Per quanto riguarda i bianchi monovarietali abbiamo il Verde (100% Grillo) e uno Chardonnay, l’Argento. Vista la bassa acidità di partenza, per acquisire struttura questi due vini fanno la fermentazione alcolica all’interno della barrique. Produciamo anche un Moscato in purezza (Ocra) che fa fermentazione in acciaio. La nostra etichetta top per i rossi è sicuramente l’Oro, che viene prodotto solo in alcune annate e nasce dalle tre migliori barrique selezionate da Antonio su tutta la produzione. Ciò significa che la composizione può variare di anno in anno, passando da monovarietale a blend di tre uvaggi diversi. Infine ci sono il Rosso, taglio bordolese classico con Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah che fa tre anni in botte piccola, e un blend di Nero d’Avola, Cabernet Sauvigno e Merlot, il Blu, che affina in barrique per due anni. Per il futuro stiamo pensando di integrare il Passito e abbiamo in cantiere altre piccole novità.”
Che tipo di botti utilizzate?
“Usiamo barrique di rovere francese che provengono da diverse tonnellerie, con differenti gradi di tostatura del legno: soft per i vini bianchi, medium e hard soltanto per i rossi. All’incirca il 40% delle botti che abbiamo vengono cambiate ogni anno, quindi non si arriva mai oltre il terzo passaggio. Utilizziamo più fornitori per dare ai vini uno scambio con il legno e una complessità aromatica diversi rispetto alla media del mercato. Anche per i tappi puntiamo molto sulla qualità e ci rivolgiamo a diverse aziende, in questo caso per diminuire la percentuale di possibili difetti sulle varie partite.”
Come sta cambiando l’enoturismo?
“Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, è aumentata la percentuale di giovani che si approcciano al vino e che richiedono esperienze diverse, più dirette. La gente ormai vuole sapere cosa ha nel piatto e nel bicchiere, vuole conoscere, ha voglia di un approccio meno costruito e più genuino. I nostri visitatori, che provengono prevalentemente dal Nord Europa, sono molto interessati a tutto il processo di produzione, alla vinificazione. Prima si veniva semplicemente a degustare un bicchiere di vino, mentre ora le persone vogliono visitare la cantina e i vigneti, fanno domande specifiche su come lavoriamo, su quali pratiche utilizziamo, in special modo in relazione al biologico.”
Come si struttura la vostra offerta?
“Al momento in cantina abbiamo un terrazzo coperto per le degustazioni che si affaccia direttamente sui vigneti di nero d’Avola, ma non abbiamo una sala degustazione al chiuso e questo ci penalizza nel periodo invernale. Io mi occupo principalmente dell’accoglienza per la clientela straniera, mentre Antonella mi assiste con gli italiani. Vorremmo in futuro integrare le degustazioni classiche con dei picnic in vigna, oppure con delle piccole classi per spiegare le varie fasi della produzione. Per farlo però avremmo bisogno di personale che conosca le lingue e sia competente in materia. Stiamo incontrando parecchie difficoltà nel reperirlo, ma non per l’aspetto economico. Lo scorso novembre abbiamo aperto anche un wine bar a Noto, un piccolo bistrot dove tutto quello che viene servito, ad eccezione del pesce e della carne, proviene dalla nostra tenuta. Il locale è aperto anche quando noi siamo chiusi, in modo da garantire continuità nell’accoglienza. Per noi è fondamentale, è il modo migliore per farci conoscere.”