Giro d’Italia: brindiamo con i Piwi alle ultime tappe
Tappa 20, sabato 28 maggio: ultima, davvero ultima, super-fatica. Da Belluno al tremendo arrivo in salita della Marmolada (Passo Fedaia). Tappa non molto lunga (168 km) ma alla fine del Giro la fatica si farà sentire per tutti. Lungo percorso di avvicinamento alle Dolomiti verso Agordo dove cominciano i quasi 30 chilometri di salita per il Passo San Pellegrino. Discesa verso Moena, poi si risale la Val di Fassa verso Canazei per affrontare il Passo Pordoi. Picchiata verso Arabba, breve risalita verso Pieve di Livinallongo, nuova discesa verso Caprile e infine ultima salitona del Giro: il Passo Fedaia ai piedi della Marmolada: gli ultimi 6 km sono terribili: da Malga Ciapela all’arrivo hanno tutti una pendenza superiore al 10% con punte del 18%.
Domenica 29 maggio, 21ª e ultima tappa: gran finale con la cronometro individuale di Verona, un circuito cittadino di 17,4 km che prevede a metà percorso la salita di Torricella Massimiliana. È un percorso di 400 metri più lungo di quello del 2019, quando anche allora il Giro si concluse all’Arena di Verona. Differente l’altitudine del punto più alto del percorso (227 metri slm delle Torricelle nel 2019 contro i 301 della Torricella Massimiliana adesso). In sostanza è quello dei Mondiali percorso in senso antiorario. Il Giro d’Italia si è già concluso a Verona nel 1981, nel 1984 e nel 2010.
Per lo spettatore che segue il Giro – sia scendendo in strada sia oziando davanti alla tivù – ecco i consigli di oscarwine.
Oggi ci concentreremo su Belluno per parlare di vitigni…resistenti. Prima di affrontare il tema, facciamo un salto nel passato di questo territorio. Esistono documenti che testimoniano la presenza della vite in zona sin dal 1200. Cosa ha impedito, allora, alla viticultura di decollare in quest’area? Ecco tre nomi: oidio, peronospora e fillossera. A fine Ottocento, in questo rigoroso ordine, le malattie e l’insetto proveniente da oltreoceano fecero strage in zona come nel resto d’Europa: le viti non avevano resistenza né tolleranza per resistere a questo attacco biologico senza precedenti.
A questo punto, l’area vede il fiorire di altre coltivazioni fino a un ritorno della vite negli anni Sessanta con l’introduzione delle barbatelle innestate su “piede americano”, con il coinvolgimento della Regia Scuola di Enologia di Conegliano e della Stazione Sperimentale di Viticoltura e di Enologia di Conegliano. Tuttavia, è negli anni Duemila che nel bellunese si inizia a puntare sulle viti PIWI, a coltivare i cosiddetti vitigni ad alta resistenza alle malattie funginee, delle varietà particolari che grazie a questa loro caratteristica riducono drasticamente l’uso di prodotti chimici o i classici rame e zolfo.
PIWI è l’acronimo del tedesco Pilzwiderstandfähig (resistente alle crittogame). La maggior parte di questi vitigni sono di origine tedesca, il paese che, assieme a Svizzera e Austria ha fatto maggior sperimentazione in questo campo. In Italia le uve di questo tipo possono essere usate per la vinificazione ma non possono essere la base per prodotti a denominazione di origine. Le tipologie sono Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Gamaret, Helios, Muscaris, Johanniter, Prior, Regent, Solaris e Bronner.
Quest’ultimo è una varietà di uva bianca, incrocio tra Merzling e Sankt Laurent, creata nel 1975 da Norbert Becker dell’istituto viticolo di Friburgo in Germania e che negli ultimi anni ha avuto grande diffusione in Alto Adige. Una particolarità: molte cantine usano per questo vino il tappo a vite, supporto non molto amato dai puristi ma sicuramente efficace.