tenuta frecciarossa

Frecciarossa, i pionieri della viticoltura oltrepadana

All’inizio del secolo scorso Mario Odero è un commerciante di successo che importa in Inghilterra il carbone via nave dall’amata Genova, sua città di origine. Rientrato in Italia dopo la Prima guerra mondiale decide di acquistare una tenuta nell’Oltrepò Pavese, da sempre “la campagna dei genovesi”, e riesce a mettere le mani su una fascinosa villa ottocentesca dal velato gusto esoterico, come ben attestano i quattro lati geometricamente affacciati verso i rispettivi punti cardinali, su una dolce pendio circondato da una fitta macchia boschiva.

Il nome della collina, Frecciarossa, deriva da un errata trascrizione catastale dell’antico toponimo Fraccia Rossa, ovvero “frana rossa”, che indica una terra argillosa, solcata da vene ferruginose e frequentemente soggetta agli umori delle acque sotterranee. Avvia subito una completa ristrutturazione delle cantine e dei vigneti insieme al figlio Giorgio che, entusiasta del progetto, decide di laurearsi in agraria. Terminati gli studi, perfeziona le proprie conoscenze in Borgogna e Champagne, dove apprende le tecniche più raffinate per vinificare il nobile vitigno con cui intende misurarsi: il Pinot Noir.

tenuta frecciarossa

Negli anni Venti escono le prime bottiglie marchiate Frecciarossa e i vini riscuotono addirittura l’apprezzamento del giovane Alfred Hitchcock durante il suo soggiorno a Villa d’Este per le riprese del suo primo film “The pleasure garden” sul lago di Como. Il celebre regista si innamora pazzamente de La Vigne Blanche, un assemblaggio di Riesling Renano e Pinot Noir vinificato in bianco, tanto che invia a Casteggio un funzionario della Paramount per comprargliene venti casse. Giorgio Odero e Alfred Hitchcock si incontreranno di persona una trentina d’anni dopo in un ristorante londinese di grido, dove quest’ultimo renderà omaggio alla bravura enologica di quel gentiluomo di campagna con una solenne dedica, vergata di pugno sul retro del menu.

Nel 1934 la tenuta ottiene il marchio nazionale di esportazione N.19 dall’INE (Istituto Nazionale per le Esportazioni) e le sue etichette sono tra le prime a sbarcare sul mercato americano al termine del proibizionismo. Nella seconda metà del Novecento la figlia Margherita affianca Giorgio nella gestione aziendale, nel 1990 rinnova sia cantina che vigneti e nel 2014 inizia la conversione all’agricoltura biologica con il prezioso supporto dell’entusiastica figlia Valeria Radici Odero che, man mano, prende in mano le redini operative. La certificazione arriva con la vendemmia 2017, a coronamento della progressiva sperimentazione di pratiche e tecniche virtuose in grado di limitare ogni ricorso alla chimica.

valeria radici odero

VALERIA RADICI ODERO

Consapevole della diversità geologica degli oltre 20 ettari di vigneto che si distendono su suoli variegati – argille rosse, argille ferruginose, marne con presenza di fossili marini e vene di gesso -, la famiglia ha saputo individuare nel tempo il vitigno più adatto a ogni singola parcella. Per preservare la biodiversità dell’ambiente gli appezzamenti vitati sono frapposti a noccioleti, campi di grano, alberi da frutta e orti. Le capre aiutano a mantenere pulito il bosco, le api impollinano i fiori e una mezza dozzina di mucche forniscono quotidianamente buona parte della materia organica con cui vengono concimati i vigneti, in aggiunta all’humus ottenuto sia con sovesci che con il compost di erbe e vinacce.

L’amore per i vitigni autoctoni si sposa con la storica passione per il Pinot Noir: Croatina, Barbera, Uva Rara e Vespolina (quest’ultima da un vigneto storico di mezzo ettaro in conduzione) possono così sublimare l’intimo legame tra terra e frutto con espressioni identitarie, ben lontane dai noiosi stereotipi della dilagante globalizzazione, che riflettono appieno la filosofia della cantina e le sue impeccabili metriche produttive. Coadiuvata nei campi da una chiassosa muta di fedelissimi cani e in cantina dal rigoroso ma geniale enologo Gianluca Scaglione, la determinata proprietaria può oggi finalmente contare anche sul supporto del rampollo Pietro, fresco di formative esperienze maturate in terra d’oltralpe tra blasonati filari e fangosi campi di rugby, il quale ci ha garbatamente accolto nell’ariosa e attrezzata sala degustazione della magione, accompagnandoci nel luminoso percorso d’assaggio delle piccole perle della tenuta.

Affinato 22 mesi sui lieviti, lo Spumante Metodo Classico Extra Brut si caratterizza per la struttura fragrante, vivacizzata da una fine e persistente bollicina, su cui si dispiegano note sottili e avvolgenti di biancospino, agrumi gialli, crosta di pane e pietra focaia; il sorso è soffice e vibrante, ricco nel profilo aromatico, sapido e incisivo nel lungo e pervicace finale. Più scarico nel colore, tendente al giallo paglierino con eterei riflessi verdognoli, ma altrettanto pimpante e affilato in bocca, il Riesling Pas Dosé vira su voluttuosi profumi di gelsomino e mela golden, golosamente incorniciati da una varietale venatura idrocarburica e da un distintivo retrogusto ammandorlato.

La versione Extra Brut Rosé, da uve Pinot Noir in purezza maturate 30 mesi dopo la seconda fermentazione, esibisce invece un fascinoso vestito rosa brillante e un passo felpato che richiama nitidi sentori di rosa canina, fragolina di bosco e zest d’arancia, prima di allungarsi in scioltezza tra sbuffi salmastri verso una detergente chiusura pepata e minerale. L’aristocratica varietà borgognona è protagonista anche del rosato fermo Pinot Nero Margherita, un vino che conquista per la piacevolezza del sorso fruttato, e del più strutturato Pinot Nero Sillery, una versione in bianco in cui spiccano intensi profumi floreali al naso e balsamiche nuances agrumate in bocca.

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Tocca però al Pinot Nero Carillo, storico cavallo di battaglia della tenuta che introduce il più corposo portafoglio dei rossi, sintetizzare con disarmante naturalezza le più auliche caratteristiche del vitigno: rosso rubino con luminosi barbagli purpurei, sfodera eleganti profumi di petali di rosa, geranio, ciliegia e piccole bacche nere di rovo che ritroviamo nel palato snello e verticale, sostenuto da una trama tannica rotonda, setosa e speziata. Il Pinot Nero Giorgio Odero allarga ulteriormente il già ricco profilo sensoriale del fratello minore, infittendo il tessuto con profondi riflessi granata e aggiungendo intriganti sfumature di erbe mediterranee, pino mugo e arancia sanguinella.

L’autoctono Uva Rara si snoda su un registro più personale e gastronomico, quanto rustico e irruento, a partire dall’esplosivo effluvio di marasca e fiori secchi fino all’amaricante finale dominato da aromi di tamarindo, pepe nero e mandorla tostata. La batteria si chiude con il sontuoso Rosso Riserva Anamari, un consolidato assemblaggio delle migliori uve Croatina, Barbera e Uva Rara, che incanta per la spigliatezza del sorso sgargiante e stratificato, dove un saporito cestino di piccoli frutti rossi viene impreziosito da pennellate di sottobosco e spezie orientali.

La gamma aziendale annovera tra le sue fila anche il fresco Riesling Gli Orti e la vinosa Barbera Le Praielle, due simpatiche etichette indirizzate al consumo quotidiano dall’apprezzabile rapporto prezzo/qualità.

Photo credits: Alessandro Beltrame

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