Carmignano, le due anime della Docg più antica al mondo
La zona di produzione del rinomato vino Carmignano è strettamente limitata alle colline dell’omonimo comune e a quelle dell’adiacente borgo di Poggio a Caiano, un’enclave particolarmente vocata per la coltivazione della vite, in virtù di un ecosistema integro, arieggiato e luminoso. Il lungo periodo vegetativo delle piante, le elevate escursioni termiche, la ventilazione dei pendii, le precipitazioni ben distribuite anche nel periodo estivo favoriscono la costante maturazione di uve sane e ricche di sostanze estrattive che scolpiscono vini intensi e strutturati ma al contempo armoniosi ed eleganti, capaci di evolvere felicemente nel tempo.
La storia vitivinicola del territorio affonda le proprie radici addirittura all’epoca degli Etruschi e il primo documento sulla produzione vinicola ed olearia di questi magnifici pendii risale all’804 d.C., sotto il dominio dei Franchi di Carlo Magno, che attesta la concessione da parte della chiesa di San Pietro a Seano di alcuni appezzamenti sulle colline di Capezzana – tappezzati da vigneti, boschi e olivi – con formula di ripartizione del raccolto assimilabile a una sorta di mezzadria ante litteram.
La reputazione della formidabile qualità del vino locale è testimoniata nel Trecento dall’acquisto per la sua cantina pratese di ben quindici barili da parte di Francesco Datini, mercante di grande fiuto per gli affari, noto anche alle cronache per l’invenzione di assegni e cambiali. Sempre in quegli anni il cronista Domenico Bartoloni elogiava l’eccellenza dei vini di Carmignano e d’Artimino e la loro fama continuò a crescere nei secoli successivi al punto che nel 1716 il granduca Cosimo III de’ Medici emise dapprima un decreto e poi un bando nel quale stabiliva precise e severe norme per la vendemmia e il perimetro dell’area produttiva, a tutti gli effetti il primo disciplinare della storia che regolamenta una denominazione di origine controllata.
In tempi più recenti parole di elogio sono state spese da Amato Amati nel suo “Dizionario corografico dell’Italia”, datato 1869, e dal sommo poeta Gabriele D’Annunzio che ne decantava i deliziosi profumi di mammola. Sotto il regime fascista l’intero comprensorio fu ingiustamente inglobato nella denominazione Chianti DOC, umiliando e depauperando la gloriosa tradizione viticola di queste nobili colline. La presenza nell’assemblaggio di vitigni che nel resto della Toscana erano poco coltivati, se non addirittura sconosciuti, come i due Cabernet e il Merlot, differenziavano radicalmente le caratteristiche organolettiche e sensoriali del Carmignano da quelle del Chianti.
In particolare, l’utilizzo del Cabernet Sauvignon è attestato fin dal Rinascimento e risulta che i primi vitigni siano stati trapiantati su queste colline proprio per desiderio della regina di Francia Caterina de’ Medici, come confermerebbe lo stesso nomignolo di “uva francesca”, storpiatura linguistica ancora in voga tra i viticoltori più anziani che ne suggerisce appunto la provenienza d’oltralpe. Nel 1960 un manipolo di tenute illuminate rivendicò le origini del nome e fondò una congregazione che si richiamava al bando mediceo del 1716. Nel 1975 l’associazione si è finalmente trasformata in un vero e proprio consorzio di tutela e ha ottenuto dal Ministero dell’Agricoltura il riconoscimento di organo di autocontrollo della DOC Carmignano, promossa una quindicina di anni dopo a DOCG.
La superficie di produzione è rimasta quasi la stessa dei tempi di Cosimo III de’ Medici con 135 ettari distribuiti su una fascia collinare compresa tra 250 e 400 metri s.l.m., in parte rivolta verso la pianura e in parte verso la valle dell’Arno, due macroaree con caratteristiche pedoclimatiche estremamente peculiari che si riflettono nei tratti stilistici dei relativi vini rossi. La prima presenta rilevanti analogie con il terroir della riva destra bordolese con suoli argillosi ricoperti da ciottoli di natura alluvionale, mentre la seconda è senza dubbio più assimilabile alle alture del Chianti Classico per i brulli terreni sassosi gravitanti su un compatto basamento di roccia calcarea. Siamo andati a visitare due giovani realtà vitivinicole che nel recente lustro sono diventate un punto di riferimento nelle rispettive sottozone e si sono distinte per la straordinaria capacità di magnificarne il terroir.
Fabrizio Pratesi Winery
La famiglia Pratesi produce vino nella zona di Carmignano da cinque generazioni. L’antenato Pietro acquistò nel 1875 la proprietà Lolocco dove già allora si produceva sia vino che olio e nella stessa oggi Fabrizio ne perpetra la tradizione lavorando i vigneti ad alta densità ubicati nel meraviglioso anfiteatro naturale che si dispiega intorno alla cantina. I suoi genitori imbottigliano la prima versione di Carmignano nel 1983 con un lotto di sole 2.000 unità. Alla fine degli anni Novanta Fabrizio, imprenditore con interessi in un settore differente da quello agricolo, inizia a innamorarsi degli armoniosi vigneti di proprietà e a interessarsi alle tecniche di affinamento.
Decide così di rilevare l’azienda e costruisce una nuova attrezzata cantina completamente sotterranea. Contestualmente amplia la superficie vitata di 2,5 ettari piantando nuovi impianti che gli consentono di incrementare la produzione a 10.000 bottiglie annue. Maturata la consapevolezza che un grande vino nasca dalla cura maniacale di ogni dettaglio in tutte le singole fasi produttiva, nel 2014 si assume il rischio di abbandonare l’altra proficua attività commerciale per diventare vignaiolo a tempo pieno. Con il prezioso supporto della moglie acquista altri terreni, pianta nuovi vigneti e potenzia le attrezzature di vinificazione.
Oggi l’azienda agricola produce circa 60.000 bottiglie con 10 ettari di vigneti, nei quali sono coltivate le classiche varietà del territorio, ovvero Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. Le parcelle ben soleggiate si snodano a una altitudine media di 120 metri sul livello del mare nel settore nord-occidentale della denominazione (versante meridionale del Montalbano) e poggiano su suoli tufacei e argillosi, ricchi di scheletro, ricoperti da sassi prevalentemente derivati da roccia alberese. I successi conseguiti nell’industria e nella cultura pratese gli sono valsi la carica di presidente del Consorzio di Tutela dei Vini di Carmignano, meritato traguardo che lo ha stimolato a profondere tutte le residue energie nella promozione del territorio e nella valorizzazione della DOCG. Il luminoso futuro dell’azienda è assicurato dall’imminente ingresso del figlio, fresco di laurea specialistica all’Università di Firenze.
Il Carmignano Carmione si presenta con un brillante colore rosso rubino e sfodera vivaci profumi di frutta rossa e spezie dolci su una trama tannica levigata che delizia il palato con balsamiche pennellate erbacee, mentre il Carmignano Circo Rosso Riserva esibisce un maggiore volume e una più robusta muscolatura, evidenti già dal vestito fitto e impenetrabile, ma soprattutto avvalorati dall’ampio bouquet aromatico che si arricchisce di golosi sapori di tabacco biondo e cioccolato fondente. L’estrema pulizia di questo 2020 mi ha riportato alle parole di Cristina, moglie di Fabrizio, quando ricordava che nell’anno terribile dalla pandemia il lavoro nei campi si svolgeva in una surreale atmosfera ovattata e l’aria era palpabilmente più tersa del solito. Il portafoglio aziendale contempla anche un beverino Sangiovese, il Locorosso Rosso Toscano, che con il suo sorso fresco e floreale si presta bene a introdurre il fratello maggiore I Sassi di Locorosso, un corposo ed elegante Merlot in purezza dai polposi sentori di frutta nera e liquirizia.
Tenuta Ceri
Edoardo Ceri è un giovanissimo viticoltore dalle idee molto chiare. Il suo percorso enologico inizia una dozzina di anni fa a Comeana nell’azienda agricola di famiglia e si perfeziona con la successiva esperienza nel ruolo di cantiniere in un’affermata tenuta di Montalcino. Rientrato alla base, si accorge delle enormi potenzialità delle uve che i genitori vendono a prezzi stracciati sul mercato e si cimenta in micro-vinificazioni sperimentali utilizzando inizialmente una cantina affittata. I risultati sono sorprendenti e gli amici lo incoraggiano a fare il salto definitivo. Non ci pensa due volte e, con il supporto del padre architetto, avvia i lavori di costruzione di una modernissima cantina ipogea, oggi già operativa e quasi pronta per l’inaugurazione ufficiale.
L’ambizioso progetto prevede anche la realizzazione di un agriturismo con enorme piscina all’aperto e scuola di cucina, di uno spettacolare showroom di 300 metri quadrati per le degustazioni e di una rete di sentieri per escursioni a piedi, in mountain-bike e a cavallo nei boschi selvaggi di Poggio dei Colli. La volontà di tutelare e valorizzare la ricca biodiversità locale è testimoniata dalla completa eliminazione di prodotti chimici in tutte le attività produttive e dalla recente piantumazione di alberi da frutta a fianco dei filari. Grazie a ulteriori strategici investimenti nella formazione di risorse umane e nell’ampliamento degli impianti vitati, la tenuta può oggi contare su 16 ettari di terreni scistosi ricchi di argilla coltivati prevalentemente a Sangiovese, su una affiatata squadra di giovanissimi collaboratori e sulla preziosa consulenza del visionario enologo Alberto Antonini. Edoardo ci racconta che il suo obiettivo a medio termine è quello di realizzare il vino più buono del mondo: un traguardo decisamente ambizioso, ma i presupposti per affrontare la sfida non mancano.
Se il Carmignano Rigoccioli sintetizza la pimpante verticalità dello stile produttivo con la sua fragrante miscela di bacche rosse di bosco ed erbe selvatiche su una elegante e sottile tessitura tannica, il Carmignano Riserva L’arrendevole vi aggiunge un tocco di austera solennità: la frutta vira su tonalità più scure (mora e susina) e, con l’areazione, si fanno largo intriganti ricordi di mammola, scorza di cedro, cuoio e grafite. La batteria si apre con il succoso e mentolato Barco Reale Barbocchio, altra gloriosa denominazione locale che deve il suo nome all’antica riserva di caccia medicea, e si chiude con l’accattivante e stratificato profilo aromatico del Le Barze, un IGT Toscana Rosso in cui il Cabernet Sauvignon pende il sopravvento sul Sangiovese ed evidenzia i classici profumi varietali di frutta rossa matura.
Sulla strada del rientro, ci siamo fermati ad assaggiare la versione della tenuta Il Sassolo, una piccola azienda agricola della baricentrica località Santa Cristina a Mezzana che ne produce poco più di 2.000 bottiglie all’anno. La morbidezza della trama fruttata si miscela con la sapidità della balsamica venatura minerale in una sorta di piacevole e azzeccato connubio dei due differenti stili enologici: ennesima riprova dell’aristocratica raffinatezza dei grandi rossi targati Carmignano.