Andrea Zanfi, una vita a raccontare bollicine
In occasione della conferenza stampa di presentazione della terza edizione di Spumantitalia (a Garda dal 2 al 4 luglio), oscarwine ha incontrato l’ideatore Andrea Zanfi, editore di Bubble’s Italia Magazine, una vita trascorsa a scrivere di bollicine e non solo. Con lui abbiamo parlato del festival e della situazione attuale del mondo spumantistico italiano.
Ti sei appassionato agli spumanti 30 anni fa, quando il settore era in crescita, e hai iniziato il tuo percorso nel mondo delle bollicine. Un precursore.
“Ho iniziato a lavorare negli anni novanta e, nel 2010, ho scritto “L’atlante degli spumanti d’Italia”, un’opera in tre volumi che raccontava la presenza dell’Italia nel modo spumantistico. Non ho scritto il quarto perché il cosiddetto metodo italiano, lo charmat detto alla francese, era poco diffuso: trovare aziende che lo utilizzassero per produrre spumanti era difficilissimo. A quei tempi, per fare un esempio, il sud era quasi completamente assente dalla carta geografica delle bolle: in Sicilia non le produceva nessuno, oggi lo fanno almeno 70 aziende. Dieci anni fa, nessuno certificava la spumantizzazione, oggi non c’è consorzio che non lo faccia. Da quando iniziai è esploso un mondo che, personalmente, ho caldeggiato e a modo mio spinto, tra le altre cose creando la rivista Bubble’s.”
Nell’ultimo quarto di secolo, quali sono state le tappe dello spumante italiano?
“Consideriamo che 30 anni fa, agli albori del mio “scrivere di vino”, c’era una presenza piemontese fortissima: pensiamo a Gancia ad esempio. Quella regione dettava legge, il precursore del Prosecco era il Pinot di Pinot di Gancia, fece scuola nel settore. Parliamo di un prodotto che ha venduto non so quanti milioni di bottiglie, una tappa di questo mondo, un bere facile, pronto. È chiaro che la scuola Gancia, con 100 anni di storia alle spalle, abbia rappresentato un momento fondamentale per il settore. Poi, i piemontesi sono andati sparendo, lasciando, tranne alcuni casi, un vuoto, coperto dal Prosecco. Prima con la Docg e poi con i prodotti “base” sul mercato estero, il Prosecco ha acquistato valore. Nel 2010 è stata costituita la Doc che ha avuto un exploit sul quale ho anche scritto un libro. Questo è un altro step. Attualmente, registro un interesse dei produttori a scommettere sulle bollicine, vinificando nuovi prodotti che ovviamente hanno pro e contro. Ora mi piace che ci siano fucine di idee intorno alle quali si sperimentano cose nuove, si costruiscono lavori interessanti.”
Il Prosecco è ambasciatore italiano nel mondo. Quali sono i margini per ottimizzare la promozione all’estero?
“Il Prosecco farà una sua strada senza guardare ad altri. Sta uscendo dal brand, andando verso l’identità del territorio. Oggi si lavora sul segmento territoriale che valorizza le microproduzioni, le chicche, nell’ambito di un territorio che aveva massimizzato il risultato. Il terreno, la composizione, le sue peculiarità sono il segreto di questa nuova comunicazione. In questo senso pensiamo a cosa potrebbero diventare anche il Lambrusco o il Nebbiolo. L’Italia deve perseverare sul territorio e gli autoctoni. Giulio Somma terrà un convegno durante Spumantitalia sul tema che vi invito a seguire.”
Domanda da copione, parlaci della distanza fra bolle italiane e francesi.
“Noi abbiamo una cosa che i transalpini non hanno, microclima e unicità del territorio: se lo sognano. Quando miglioreremo la produzione non avremo rivali. Ci vorranno dieci anni, se i produttori si metteranno in testa di avere una grande potenzialità. I francesi sono fermi su pochi vitigni internazionali, noi no. Sull’altissimo prodotto, però, hanno una storia che a noi manca, vini conservati anche per decenni per assemblare le cuvee. Pur non avendo prodotti che vanno a ritroso nel tempo come quelli francesi, possiamo anche noi vantare bottiglie che dopo 120 mesi hanno un eleganza invidiabile. Col tempo, creeremo anche la storia che manca.”
Dopo un anno e mezzo di stop per colpa del Covid, cosa ti aspetti per Spumantitalia?
“La pandemia ha bloccato la realizzazione del festival, non la filosofia dell’evento. Spumantitalia non è una fiera di vini: il sistema spumantistico si ritrova per alcuni giorni in un salotto per discutere e analizzare l’evoluzione del settore. Non dobbiamo fare risultati economici o correre dietro a qualcuno, ma aggregare player della spumantistica intorno a un tavolo. Organizziamo eventi culturali, facciamo conoscere alla gente gli spumanti italiani, facciamo in modo che non cerchino prodotti commerciali o i soliti noti. Se la domanda di bollicine è sempre la stessa, perché un ristoratore dovrebbe mettere altro in carta? Noi stiamo scardinando questo concetto, sdoganando nuovi prodotti. Alcuni ristoranti del Garda hanno aderito alle cene Bubble’s e, durante Spumantitalia, proporranno in tutto 180 nuove etichette italiane. Un modo per aprire il palato a nuove sensazioni e la mente a un mondo diverso.”
Quali sono gli argomenti che vorresti approfondire durante l’evento?
“Il cambiamento climatico, i mercati spumantistici, i metodi produttivi a paragone. E poi vorrei che gli italiani facessero sistema come i francesi, insieme si può andare lontano, singolarmente si fa poca strada. Tra poco, a Modena ci sarà un evento sullo champagne dove le aziende importatrici faranno arrivare 110 etichette; la capacità di penetrazione sui mercati internazionali dipende dal fare squadra, i francesi lo hanno dimostrato in questo caso.”
Torniamo un attimo sulla pandemia. Parliamo del web, grande protagonista di questi lunghi mesi.
“Credo nella socializzazione, nell’incontrarsi, nella creazione di un “Circolo della conversazione”, parlare per interessare la gente, coinvolgerla. Insistere sul web, ovviamente non per tutte le situazioni, vuol dire spingere la solitudine e assistere a situazioni in cui il verbo dei singoli diventa divino senza un contraddittorio.”
L’obiettivo che ti ha reso più orgoglioso in tutti questi anni e il traguardo che vorresti tagliare.
“Nel 2016 sono partito con la rivista cartacea Bubble’s e tutti mi hanno dato del matto: mentre il mondo navigava sul web, io prediligevo la carta. Il lavoro di qualità ripaga sempre alla grande, permette di ottenere risultati: è quanto capitato a noi. La rivista era data per spacciata, oggi fatico a controllarne la crescita. Basta guardare gli abbonamenti: in quanti personalizzano la prima di copertina con nome e cognome del destinatario? È un sacrificio economico ma dà valore a quanto facciamo. Per il futuro, vorrei che i giovani scommettessero su qualità, competenza e professionalità. Il mio sogno è che anche senza me, la rivista e Spumantitalia continuino a fare cultura e qualità.”