Abraham, la filosofia della lentezza consapevole
In un’epoca frenetica come quella in cui viviamo, nella quale tutto dura il tempo di una storia sui social, è ancora possibile produrre vini di qualità rispettando i tempi della natura? A questa e ad altre domande hanno risposto Marlies e Martin Abraham, fondatori dell’omonima cantina di Appiano sulla strada del vino (nomen omen), raccontando a oscarwine la loro storia.
Come e quando nasce il progetto Weingut Abraham?
Marlies: “La nostra famiglia viene da una lunga tradizione nelle cantine sociali, che nel territorio di Appiano sono una realtà consolidata da generazioni: basti pensare che ancora oggi quasi il 90% del territorio vitato fa parte delle cooperative. Nel 2011 io e mio marito abbiamo deciso di iniziare a produrre in proprio, spinti dalla passione per questo lavoro, consapevoli che i terreni e soprattutto i nostri vigneti, alcuni dei quali hanno diversi decenni di storia, avrebbero potuto dare vita a vini dal carattere deciso, distintivi del nostro territorio.”
Martin: “La viticoltura, oltre ad essere il mio lavoro, è anche la mia vita: mio nonno e mio padre lavoravano nei vigneti e per me, che sono cresciuto in questo ambiente, è stato naturale proseguire nel solco tracciato da loro. Per capire meglio quale fosse la giusta filosofia da adottare nella produzione dei nostri vini, abbiamo iniziato a confrontarci con altri colleghi, non solo della zona, scoprendo di far parte di una famiglia ancora più grande: è facile andare d’accordo e fare amicizia con chi affronta giornalmente i tuoi stessi problemi.”
Quanti siete oggi in azienda?
Marlies: “All’inizio eravamo solo io e Martin ad occuparci di tutto, dalla campagna alla cantina, mentre da un paio di anni ci stanno aiutando due giovani viticoltori. Oltre a loro, spesso ospitiamo dei praticanti, studenti di enologia dall’Italia e dall’estero. È bello e stimolante confrontarsi con questi ragazzi, abituati a viaggiare e a conoscere realtà diverse: aiuta anche noi a crescere.”
Il vostro simbolo è l’upupa, che dà anche il nome ad uno dei vostri vini. Come mai questa scelta?
Marlies: “Abbiamo sempre pensato ad un animale, per comunicare la nostra vicinanza con la natura, ma la scelta non è stata facile. La decisione è nata dopo aver visto un esemplare nei nostri vigneti. Secondo noi rappresenta bene la nostra filosofia: è piccolo ma dal carattere deciso, con quella cresta un po’ “punk” che ha un qualcosa di alternativo.”
Siete al centro di un territorio quasi unico per la produzione di vino.
Martin: “Le prime tracce della viticoltura nella nostra zona risalgono a più di tremila anni fa. Ovviamente in un territorio come il nostro la tradizione e la storia sono molto forti ed è più facile avere la “fortuna” che la natura ti regali qualcosa di bello e di buono. Nella zona est del comune i terreni sono tendenzialmente acidi, con prevalenza di porfido, scisto e granito, mentre ad Appiano Monte, alle pendici della Mendola, troviamo terreni principalmente calcarei. Ciò significa che i vini possono cambiare di molto anche a breve distanza, pur mantenendo lo stesso uvaggio. Queste caratteristiche nel tempo hanno dato spazio a tante produzioni diverse.”
Quanto sta influendo il cambiamento climatico sui vini nella vostra zona?
Martin: “Qui da noi il sistema di allevamento a pergola è stato progressivamente sostituito con il guyot, che offre meno protezione ai frutti. Negli ultimi anni con l’innalzamento delle temperature i vini sono diventati sempre più potenti e corposi, con prevalenza dei sentori fruttati, mentre purtroppo si sono perse freschezza e acidità. In uno dei nostri vigneti che risale alla fine degli anni ’50, l’inizio della vendemmia nel giro di poco più di una generazione è passato dalla fine all’inizio di settembre e questo scarto può influire molto sul risultato finale. Devo dire che i vigneti più antichi, nei quali la selezione e la cura delle barbatelle era più attenta e si preferiva la qualità alla quantità, stanno resistendo molto meglio al cambiamento climatico.”
Provate a spiegare la vostra filosofia.
Marlies: “Non siamo enologi e all’approccio tecnico abbiamo sempre preferito quello della tradizione, cercando di capire come lavoravano le generazioni precedenti. Abbiamo sperimentato tanto prima di trovare la nostra strada, che è quella di dare più spazio possibile alla natura sia in campagna, non utilizzando prodotti sistemici e chimici, che in cantina, con fermentazioni spontanee e lieviti indigeni, con pochissima aggiunta di solfiti.”
Martin: “I gusti stanno cambiando e credo sia arrivato il momento di staccarsi dalla filosofia classica dei vini altoatesini, provando nuove strade. L’aspetto più importante secondo noi è quello del tempo. Tutti i nostri vini, anche i bianchi, fermentano in botti grandi da 600 litri con lunghi affinamenti senza bâtonnage. Questo prolungato contatto con i lieviti dà un carattere preciso: meno struttura e sentori primari di frutta matura, ma più freschezza e corrispondenza con il territorio. Lavorare in maniera naturale per noi non significa ricercare vini torbidi o con volatile molto alta, come succede spesso oggi. La nostra idea è di produrre vini puliti, con una nota precisa e con un ottimo potenziale di invecchiamento. Siamo orgogliosi del fatto che le nostre prime annate siano ancora in perfetta forma.”
Parliamo di numeri.
Marlies: “Oggi abbiamo sette ettari di terreni vitati. Dalle 6000 bottiglie iniziali siamo arrivati ad una produzione di circa 40mila bottiglie l’anno. Il nostro referente principale, oltre al cliente diretto, è l’Ho.Re.Ca. e vendiamo soprattutto qui in Alto Adige, dove il turismo di alto livello è molto forte, e nel resto d’Italia. Abbiamo un buon riscontro in generale in Europa e da un paio d’anni stiamo lavorando anche con gli Stati Uniti.”
Raccontiamo i vostri vini.
Martin: “La nostra varietà principale è il pinot bianco, che nella zona di Appiano ha una storia di quasi duecento anni, distribuito su tre diversi vigneti. Oltre a questo abbiamo un ettaro di chardonnay e il gewürztraminer, il più antico e il più “difficile” dei tre, che noi lavoriamo con una leggera macerazione, ottenendo un vino dal colore deciso, con più tannino e più gusto. Da un paio d’anni abbiamo piantato anche del sauvignon blanc. Come uva rossa abbiamo la schiava, storico vitigno del territorio che sta lentamente scomparendo (ormai occupa meno del 5% del territorio altoatesino) ma che secondo noi mantiene sempre un suo fascino e produce un vino per nulla banale pur nella sua semplicità.”
E poi c’è il pinot nero…
Martin: “Abbiamo più di due ettari di questo vitigno, che è senza dubbio il più complicato da gestire, sia in vigna, a causa della compattezza dei grappoli che lo mettono a rischio ogni volta che piove, che in cantina, ma che può dare grandi soddisfazioni. Noi usiamo tini di rovere aperti per la macerazione per poi affinarlo 15 mesi in botti da 300 e 500 litri. È un prodotto che fa concorrenza agli omologhi francesi e tedeschi.”
Cos’è la linea Abraham Art?
Marlies: “È un progetto nato quasi per caso nel 2013, quando abbiamo provato a fare una selezione da un vigneto di pinot bianco di circa 70 anni, piantato dal nonno. Il risultato è stato un vino particolare con elevata acidità, che secondo noi meritava un’etichetta diversa dalle altre per valorizzarlo. A seguire abbiamo replicato l’idea anche con il pinot nero, sul quale stavamo già lavorando per produrre un vino che potesse avere una struttura decisa e una longevità importante.”
Scegliete un abbinamento tra un vostro vino e un piatto.
Marlies: “Mi viene in mente un piatto preparato dallo chef Alessandro Bellingeri dell’Osteria Acquarol di San Michele, i finferli affumicati con fegato di agnello essiccato e buon enrico, al quale abbiamo abbinato l’Upupa Orange, il nostro Gewürztraminer macerato. Il contrasto tra l’amaro del piatto e l’aromaticità del vino è stata una piacevole sorpresa.”
Chiudiamo con un vino di un collega che merita di essere citato.
Martin: “Mi piace molto il Verdicchio di Villa Bucci. Ho avuto il piacere di assaggiare la Riserva 2005 e devo dire che è veramente un grande vino.”