La nuova Sicilia del vino: Elios
Nella settimana che segna l’inizio del Giro d’Italia, andiamo a concludere il nostro mini Tour della nuova Sicilia del vino facendo tappa tra le colline che circondano la cittadina trapanese di Alcamo. È Guido Grillo, titolare della cantina Elios insieme all’amico Nicola Adamo, a spiegarci la filosofia che sta dietro alla scelta di produrre vini naturali esclusivamente da vitigni autoctoni.
Come è iniziato il vostro progetto?
“Io e Nicola siamo amici di lunga data, ma ci siamo sempre occupati di altro. Lui è ingegnere informatico, mentre io sono enologo. Per anni abbiamo lavorato come consulenti ma non ci sentivamo soddisfatti, passavamo da un contratto a tempo determinato all’altro. Nel 2015 abbiamo deciso di prendere in mano le aziende agricole dei nostri genitori, che fino a quel momento avevano sempre venduto le uve alle cantine sociali. La cosa positiva è che comunque già da anni praticavano l’agricoltura biologica, quindi siamo ritornati in campagna avendo una base importante per avviare il nostro progetto di produrre vini naturali.”
Da dove siete partiti?
“L’idea iniziale è stata quella di puntare sui vitigni autoctoni siciliani, abbandonando la “moda” degli internazionali come cabernet e merlot. L’altro obiettivo era quello di fare vini che fossero figli del nostro tempo, cercando di raccontare la Sicilia tramite il lavoro di due ragazzi giovani e non ricalcando la tradizione di una volta, anche perché i nostri genitori hanno svolto un lavoro egregio in campagna, ma in realtà si fermava lì, perchè poi l’uva veniva venduta. Da questo punto di vista abbiamo avuto carta bianca sulla decisione di quale impronta dare ai nostri vini.”
Dove sono i vostri vigneti?
“Lavoriamo su cinque aziende, tutte entro i 15 km da Alcamo. Partiamo dai vigneti di grillo e zibibbo che si trovano in Contrada Fico, che è a 3 km dal mare, quindi con un clima più caldo e una vigna precoce. A Camporeale verso l’interno abbiamo il nero d’Avola, in una zona con più escursione termica, con un ritardo di maturazione e un’acidità più spiccata. Sul Monte Bonifato a 600 metri d’altezza ci sono delle vigne di catarratto destinate alla base spumante per un metodo classico su cui stiamo lavorando e sempre per il catarratto abbiamo San Nicola, un’altra zona collinare a circa 400 metri. Infine c’è l’azienda di mio padre, in una zona più interna di pura campagna nella quale nel 2016 abbiamo impiantato il nerello mascalese.”
Terreni molto diversi quindi…
“Dal misto sabbioso vicino al mare si passa all’argilloso puro e all’argilloso calcareo, per arrivare poi al calcare in montagna, dove ci sono terre nere con pietre bianche. Ad Alcamo c’erano cave di travertino e questo tipo di roccia la ritroviamo anche nei terreni.”
Come affrontate la questione climatica?
“Ovviamente in quest’area si soffre il caldo, da qui la scelta di acquistare alcuni terreni in zone collinari e quindi più fresche. Le ultime vendemmie sono state impegnative, non solo per le vigne ma anche per noi esseri umani, con temperature diurne superiori ai 40°. Non siamo arrivati a dover fare vendemmia notturna, ma è veramente difficile lavorare in queste condizioni, perchè le uve si deteriorano facilmente.”
Si parlava di agricoltura biologica. Proviamo ad approfondire l’argomento.
“I nostri genitori hanno sempre fatto agricoltura biologica e le aziende sono tutte certificate bio fino all’uva. Noi abbiamo iniziato facendo vino biologico, quindi con la bandierina in etichetta, ma per motivi burocratici abbiamo abbandonato questa strada. Sulla questione del biologico e delle certificazioni si apre un mondo: c’è chi le accetta e chi storce il naso. Anche perchè leggendo il disciplinare del vino biologico rispetto a quello convenzionale, se non sono sovrapponibili poco ci manca. Quando abbiamo iniziato ad usare i social, una delle prime foto che ho pubblicato è la comparazione tra un campo dove si è utilizzato l’erbicida e uno dove si lavora con il sovescio. La chimica è molto comoda, soprattutto per velocizzare alcune lavorazioni, però è chiaro che questa comodità rischia non solo di impoverire i terreni e l’ambiente, ma di fare danni anche sulla salute degli operatori. Finalmente in campagna stanno tornando le coccinelle, le farfalle. Sono piccole cose che però ti fanno pensare che stai andando nella giusta direzione.”
Cosa vuol dire per voi fare vini naturali?
“Lascerei da parte la questione su come facevano il vino i nostri nonni o gli antichi romani, perché non possiamo saperlo, così come non sappiamo se il loro vino era buono. Io sono enologo, quindi ho una visione tecnica della produzione. Ho avuto modo di lavorare per un’azienda che vendeva prodotti enologici e ho potuto vedere da vicino quanti coadiuvanti si possono aggiungere al vino, che non hanno nulla a che fare con l’uva. La mia sfida è stata quella di fare vino senza gli “aiutini”. È chiaro che bisogna lavorare bene per fare prodotti senza coadiuvanti e allo stesso tempo senza difetti. Indubbiamente l’avvento dei vini naturali ha segnato un momento di rottura anche necessario, ma siamo arrivati all’estremizzazione che si raccoglie l’uva, la si mette nel tino e la natura fa il suo corso. Non è così. Come disse qualcuno, il vino sta in mezzo fra la feccia e l’aceto, quindi l’intervento umano gioca un ruolo fondamentale. Come in tutti i settori, bisogna studiare per fare le cose per bene, bisogna prima capire e poi operare delle scelte. Secondo me oggi fare vino naturale vuol dire lavorare con due ingredienti: uno è l’uva e l’altro è la giusta quantità di solforosa quando necessaria, per evitare tutta una serie di deviazioni che possono rendere il vino sgradevole.”
Passiamo ai numeri…
“Attualmente produciamo circa 30mila bottiglie l’anno e vendiamo principalmente all’estero, soprattutto negli USA e in Canada. Abbiamo cinque referenze, due rossi e tre bianchi. Il Grillo in purezza proviene dai terreni argillosi e calcarei di Camporeale e i suoi punti di forza sono l’acidità, la lunghezza e una bella sapidità data principalmente dal suolo. Facciamo poi un Nerello Mascalese dalle vigne piantate nel 2016 su argilla pura. È un rosso leggero con 11° alcol che fa circa tre giorni di macerazione e l’abbiamo chiamato Glou Glou per dare l’idea di un vino facile da bere, anche fresco. I due macerati sono il Katamacerato, un catarratto che fa sei giorni di macerazione nel quale abbiamo cercato di portare in bottiglia tutte le sue caratteristiche sia liquide che di buccia, e un bianco che è un blend di Grillo, Zibibbo e Catarratto, i tre autoctoni siciliani imparentati tra loro, con una nota aromatica legata allo zibibbo ma con una spalla acida e una buona struttura date dagli altri due uvaggi. Infine abbiamo un Nero d’Avola che fa affinamento in botte di castagno, sul quale abbiamo deciso di lavorare per spogliarlo dei suoi “muscoli”, con gradazione alcolica non esagerata e una bella acidità.”
Hai accennato prima a un metodo classico. Quando uscirà?
“Stiamo lavorando da circa un anno a questo progetto, uno spumante metodo classico dalle uve catarratto dei nostri vigneti in montagna. L’idea è quella di fare un pas dosé, ma ancora non sappiamo quanto resterà sui lieviti. Questo vitigno ha tanta potenzialità e sta a noi, come dicevo prima, dimostrare che gli autoctoni possono avere un loro posto importante sul mercato. Si cerca di di ottenere il miglior prodotto nel posto in cui sei. I vini vanno bevuti in questo modo secondo me, cercando di capire la diversità e la ricchezza del territorio da cui provengono. Sotto questo punto di vista c’è ancora tanto da lavorare.”
Secondo te come si sta lavorando in Sicilia oggi?
“C’è una nuova generazione di giovani produttori che ha messo in discussione tante pratiche consolidate. È molto bello che tanti di loro siano ritornati in Sicilia a lavorare e soprattutto a lavorare bene. Con molti di loro siamo amici e collaboriamo, ci chiamiamo colleghi e non concorrenti. Credo sia fondamentale questa sinergia per far conoscere i nostri prodotti all’estero, dove l’immagine della Sicilia del vino è ancora molto legata alla zona dell’Etna e si parla poco degli altri territori.”
Quanto è importante per voi la comunicazione?
“Quando abbiamo iniziato avevamo tante idee e pochi soldi, quindi abbiamo cercato prima di capire che strada potevamo prendere. Il lavoro sulle etichette è stato fondamentale: volevamo dare colore, fare in modo che chi guardasse quell’etichetta ne rimanesse attirato. Da lì nasce l’idea della bottiglia con una forma diversa, di questi tratti stilizzati di un pupetto con i piedi nella tinozza, che da un lato segue la tradizione, però con un concetto moderno e giovane, perché deve rappresentare innanzitutto noi. Per quanto riguarda la comunicazione legata ai social, abbiamo pensato a una sorta di storytelling fatto direttamente da noi, senza ghost writer, per raccontare chi siamo. Le foto sono autentiche, noi siamo autentici e fotografiamo quello che effettivamente facciamo. Credo che dietro alla bottiglia di vino ci debbano essere delle facce, soprattutto se ci si definisce produttori artigianali. Ecco, io questo artigiano voglio capire chi è, voglio conoscerlo e i social ci stanno dando questa opportunità.”
L’enoturismo sta assumendo un ruolo sempre più fondamentale nel vostro lavoro…
“In Contrada Fico abbiamo un casolare ristrutturato e oltre ai vigneti ci sono anche gli uliveti e gli apiari, perché Nicola, prima di diventare produttore di vino, si è avvicinato alla campagna con l’apicultura. Noi facciamo delle degustazioni, nelle quali siamo sempre presenti in prima persona, proprio sotto l’albero d’ulivo accanto a un pozzo, spiegando a chi ci viene a trovare come si produce un vino, l’olivicultura e come si fa il miele. I nostri racconti non sono mai troppo tecnici, perchè secondo me i vini non vanno solamente analizzati, devono essere anche assaggiati, bevuti e soprattutto devono essere buoni. Dobbiamo ritornare a rendere protagonista la convivialità e non la contemplazione. È bello ospitare le persone, parlare di vino in un modo in cui entrambi, sia chi lo produce che chi lo assaggia siano sullo stesso piano. In questo il movimento del vino naturale ha avuto il merito di allargare la partecipazione, di renderla più diretta.”