Irlanda punti a fare cultura, inutili i ban sul vino
Italia patria del vino e di allenatori di calcio. Il mondo di Bacco trae ispirazione dai cugini del pallone per attuare un ‘catenaccio’ a difesa dei suoi prodotti dagli health warning irlandesi, gli avvisi sanitari che l’isola di smeraldo ha previsto di inserire sulle etichette di vino, birra e alcolici e che molte nazioni del vecchio continente temono possano diventare obbligatori in tutta Europa.
Politici, venditori, produttori e giornalisti hanno offerto a oscarwine il loro punto di vista sulla situazione.
Partiamo dall’attualità. Mercoledì scorso, a Berlino, presso il Bundestag la delegazione italiana in rappresentanza della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, guidata dal Presidente Mirco Carloni, ha incontrato la Commissione Agricoltura del Parlamento Tedesco con Hermann Färber che ha espresso preoccupazione per nuove regole che creano nuovi vincoli e limitazioni per molti prodotti. Immancabile, una parentesi sull’etichettatura stile pacchetto di sigaretta.
“Con i tedeschi – spiega l’onorevole Carloni – abbiamo una visione comune su alcuni temi, andiamo nella stessa direzione. Tra questi c’è quello dell’etichettatura richiesta dall’Irlanda che indica dei pericoli per la salute per il vino e la birra; questi prodotti non possono essere considerati solo alcolici, hanno anche una capacità nutriente ma soprattutto sono figli di una cultura e una tradizione che, se colpite, verrebbero delegittimate. I parlamentari tedeschi condividono il nostro punto di vista ma resta il fatto che l’Italia non può rimanere sola a difendere questa posizione e soprattutto bisogna fare cultura su un consumo consapevole e uno stop agli eccessi.”
Passiamo adesso a chi il vino lo porta nei nostri ristoranti ed enoteche preferite. Adriano di Curzio, agente di commercio e consulente tra i più noti del centro Italia, crede poco in questo tipo di deterrente: “Questa etichetta vale per tutti i prodotti alcolici in Irlanda, ma c’è anche l’impressione che questo paese, non producendo vino, cerchi in tutti i modi di ostacolarne il suo consumo. Gli abituali consumatori di alcol, 150.000 (per quelli più accaniti e ritenuti pericolosi) su un totale di 5 mln, continueranno a bere come prima. Questa politica potrà forse modificare le abitudini degli irlandesi a partire dalle nuove generazioni, le quali però saranno molto più attente ai prodotti che consumeranno e quindi avranno una predisposizione a consumare vino piuttosto che i superalcolici. Inoltre, il vino italiano ha dei controlli molto più rigidi per la salute rispetto ad altri paesi e questo darà ci darà un vantaggio a livello di quote di mercato. In ogni caso, fa sempre bere ricordare che qualsiasi alimento consumato in eccesso è nocivo!”
Interessante la riflessione di Roberto Miliacca, capo della redazione romana di Italia oggi e vicepresidente di Italian Travel Press: “Non vorrei che quella della norma sugli “health warning” sulle etichette di vino, birra e liquori, da parte delle autorità di Dublino, fosse l’ennesima inutile bagarre sulle politiche comunitarie in tema di agroalimentare e di salute. Dalla quale, sono convinto, l’Italia uscirà indenne, come d’altronde è già avvenuto con il sistema “Nutriscore”, cioè con le cosidette “etichette semaforo” che in paesi come Francia o Regno Unito, indicano il potenziale nutrizionale di un alimento. Anche allora si era posto il problema ‘ingerenza’ dell’Unione europea nelle scelte alimentari dei cittadini comunitari per tutelarne la salute. Io non penso che dire a una persona di non bere alcolici o di non mangiare cose grasse, possa realmente incidere sulle sue scelte: farà comunque sempre come vuole. E anzi, quelle etichette possono spingere ancor di più gli irlandesi, e anche gli europei in genere, ad acquistare prodotti sempre più di qualità, come sono i vini italiani e i prodotti alimentari nazionali.”
Chiudiamo con un produttore, Paolo Ippolito, titolare di Ippolito 1845 e ambasciatore del vino 2019: “Il problema parte da lontano perché riguarda una serie di regolamenti e di norme messe in campo dall’Irlanda già nel 2018 per scoraggiare il consumo degli alcolici soprattutto fra i giovani, tra i quali l’incidenza di alcolismo è molto alta, credo fra il 13 e 20%. Oltre alle etichette con i warning, gli irlandesi hanno previsto una serie di limiti all’acquisto per i ragazzi e imposto un prezzo minimo, stabilito in base alla gradazione alcolica. L’Irlanda cerca di contrastare questo fenomeno nella sua nazione ma la problematica sorge quando c’è una circolazione delle merci e le regolamentazioni nazionali sono diverse da quelle degli altri paesi, una difformità che crea squilibri nel mercato. Noi produttori siamo contrariati dalla decisione della UE e in agitazione perché sul vino rischia di passare un messaggio sbagliato: non è dannoso alla salute se consumato con moderazione e studi scientifici confermano che il classico bicchiere di vino al giorno fa bene. Si sta comunicando male con messaggi sbagliati, stanno facendo terrorismo mediatico sul vino. Qualsiasi abuso provoca danni al fisico. Bisognerebbe investire in campagne di sensibilizzazione su un approccio consapevole al mondo del vino, sul suo consumo moderato, i problemi non si risolvono con le targhette: chi si ubriacava prima, continuerà a farlo. Bisogna investire sulla famiglia, sul contesto sociale, attraverso iniziative mirate.”
Consapevolezza, cultura, società. La strada è questa.