Le poliedriche sfumature del Pinot Noir
Con l’avvicinarsi dell’evento “Cinquanta sfumature di Pinot Noir”, in programma a Voghera il 15 e 16 ottobre, cogliamo l’occasione per un approfondimento tecnico sul vitigno protagonista della manifestazione organizzata dal Movimento Turismo del Vino Lombardia con il contributo di Regione Lombardia per il progetto OgniGiorno in Lombardia – Assessorato al Turismo, marketing territoriale e moda, e con il Patrocinio del Comune di Voghera.
Il pinot noir è un vitigno a bacca rossa autoctono della Borgogna e di gran parte del nord-est francese tra i più antichi e nobili del pianeta, dove oggi è coltivato su oltre 90.000 ettari di terreno in diversi continenti, con predilezione per i climi freddi con forti escursioni climatiche che contribuiscono allo sviluppo di acidità e finezza dei profumi. Proprio per questa sua formidabile eleganza è stato spesso utilizzato per creare varianti genetiche di alto livello qualitativo, tra le quali la cosiddetta famiglia dei “Noriens” che comprende le altre tre grandi cultivar borgognone (chardonnay, aligoté e gamay), il pinot gris e il pinot blanc.
I primi documenti che ne testimoniano l’eccellente reputazione risalgono al Trecento dove viene menzionato dapprima come Plant Fin e poi con l’appellativo di Garnet Pinot, anche se risulta acclarato che venisse già coltivato due millenni fa all’epoca della conquista romana. Il termine Pinot deriva quasi certamente da “piccola pigna”, a significare da un lato la modesta dimensione del grappolo compatto e leggero, dall’altro la concentrazione degli acini che ricorda le squame del frutto dei pini. I chicchi si presentano di forma regolare con una buccia nero-violacea, sottile come una pellicola e abbastanza povera di sostanze coloranti e polifenoli. Coltivare le uve del pinot nero è un’impresa ardita anche per i vignaioli più abili, ma capace di regalare soddisfazioni immense a chi è abbastanza tenace da affrontarla con caparbietà e cognizione di causa.
“Questa sfida può essere vinta solo da viticoltori preparati, maniacali nella cura di tutti i dettagli e capaci di assecondare un vitigno così delicato con impianti corretti, dislocati in ambienti caldi ma al contempo freschi ed esenti da stress idrici” ci racconta Leonardo Valenti, Professore alla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. “I grappoli, sensibili a muffe e a molte malattie della vite, richiedono a loro volta meticolose attenzioni in tutte le fasi del processo produttivo: in vigna devono essere tutelati dall’esposizione solare con caute defogliazioni, in cantina con tecniche di vinificazione protettive, lavorando sia sui raspi che sui semi con un vinacciolo maturo in grado di estrarre polifenoli dolci e prevenendo costantemente ogni potenziale fenomeno di ossidazione”.
La sua misurata carica tannica imprime ai vini un delicato colore rubino, trasparente e poco denso, che con l’invecchiamento tende al granato chiaro. Quintessenza di classe e aristocraticità, i suoi bouquet fragranti e celestiali spaziano tra fascinosi e sofisticati mosaici di piccoli frutti di bosco, nocciola, tè nero, ciclamino, spezie orientali, muschio, felce, tartufo, incenso, mentuccia, aneto, rabarbaro, resina di conifere e scorza d’arancia.
I francesi ravvisano nelle versioni di maggiore stoffa anche il cosiddetto sentore di “merde de poule”, ovvero di escrementi di gallo, una definizione che sintetizza con licenziosa efficacia l’intrigante e mai troppo invadente lato selvatico che si fa largo dopo qualche anno di affinamento in bottiglia. La freschezza minerale, l’impatto vellutato, la levità del sorso, la grana puntiforme del tannino e l’intensa sapidità finale garantiscono una beva rassicurante e irresistibile, edonistica e leggiadra. La straordinaria componente acida sviluppa con il tempo una magica sequenza di sensazioni eteree e assicura alle etichette di razza invecchiamenti felici e molto intriganti.
I terroir d’elezione del pinot noir restano senza ombra di dubbio la Borgogna e la Champagne, dove incarna l’interpretazione più nervosa e sottile plasmando gli spumanti più iconici del mondo, ma anche nelle adiacenti regioni transalpine dell’Alsazia e dello Jura abbiamo assistito a una progressiva e sorprendente crescita qualitativa con vette impensabili fino a qualche decennio fa.
Complice il mito dei grandi vini francesi, in Italia fu importato per la prima volta nei primi anni dell’Ottocento dall’Associazione Agraria Tirolese (anche se l’Alto Adige all’epoca era ancora annesso all’Austria), ma le torride estati altoatesine lo hanno via via relegato alle aree con sottosuoli a matrice calcarea ed elevati sbalzi termici come il vocato comprensorio di Mazzon. Maggiori fortune si sono registrate nell’Oltrepò Pavese, dove fu impiantato per la prima volta intorno al 1850 dal Conte Augusto Giorgi di Vistarino, e sui ventilati suoli argillosi toscani del Mugello e del Casentino, ma è largamente diffuso anche in Trentino, Franciacorta e Alta Langa per la realizzazione di spumanti metodo classico con tradizionali uvaggi champenois alla stregua del suddetto territorio oltrepadano.
“Il ruolo del pinot noir nella realizzazione delle basi spumanti è sostanziale ed ecclettico al tempo stesso” afferma Claudio Maspes, docente ASPI e direttore dei relativi corsi a Milano e provincia, ricordando le seguenti parole dello chef de cave di una famosissima maison di Champagne: “Quando degustate uno champagne pensate ad una pesca matura, in cui il pinot noir ne rappresenta il nocciolo, la struttura intorno alla quale si costruisce il frutto; lo chardonnay è invece la buccia, con tutti i suoi colori e i profumi immediati e intriganti; infine, il pinot meunier, che nel suo ruolo di liason fra i primi due, ne è la polpa”.
Maspes aggiunge: “Nel nostro Paese non abbiamo il pinot meunier (solo una quindicina di ettari in Trentino), dunque il pinot nero occupa uno spazio ancora più importante, particolarmente in Alta langa e nell’Oltrepò Pavese. Qui si stanno sempre più sperimentando cuvée di lunghissima permanenza sui lieviti, proprio per dare il tempo alla mineralità talvolta dura del pinot nero e ai profumi erbacei, inizialmente un po’ chiusi, di evolvere fino ad esprimere al meglio le loro grandi potenzialità”. Le versioni in rosso nostrane si connotano invece rispetto agli omologhi borgognoni per un maggiore volume alcolico e strutturale, oltre che per la prevalenza della frutta rossa e delle spezie sulle note floreali e balsamiche.
Negli Stati Uniti il vitigno ha trovato dapprima terreno fertile nelle celebri vallate californiane di Napa e Sonoma modellando etichette carnose e roboanti, poi nella fredda e piovosa regione dell’Oregon con risultati più freschi e sottili che si avvicinano maggiormente allo stile della Côte d’Or e della Côte Chalonnaise. Nell’emisfero australe il pinot noir si è diffuso con risultati interessanti, a volte addirittura superlativi, in ogni continente: in Australia e Nuova Zelanda troviamo interpretazioni fruttate e floreali dal retrogusto salato e talvolta amaricante, in Cile e Argentina sfumature più femminee di fragola e fiori rossi con sapidi sottofondi minerali, mentre i Pinotage sudafricani – nati da un incrocio con il Cinsault – esibiscono un eccentrico corredo aromatico che armonizza le caratteristiche nuances di caffè e cioccolato con sentori esotici di tabacco, banana e pepe nero.
Tornando nel caro vecchio continente, il cerchio si chiude con i Blauburgunder austriaci e gli Spätburgunder tedeschi, vini schietti e fragranti contraddistinti dalla tipica nota varietale dei piccoli frutti di bosco e dalla godibile scorrevolezza gustativa.