Sulle strade del Tour: Alpe d’Huez, vini della Savoia
Le Alpi, finalmente! Il Tour saluta la Svizzera partendo da Aigle, gentile omaggio all’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) che qui ha sede. Si torna in Francia per arrivare nell’Alta Savoia a Chastel les Portes du Soleil (solo 1250 abitanti) seconda volta sede di tappa: nel 1975 con vittoria di Lucien Van Impe e Bernard Thévenet maglia gialla. La frazione propone quattro salite (compresa quella d’arrivo) che non consentiranno ai “touristi” di prendere il sole. Tappa quasi tutta in territorio svizzero, si torna in Francia per gli ultimi otto chilometri. Dopo il consueto giorno di riposo del lunedì, si ricomincerà con le Alpi restando nell’Alta Savoia. Arrivo a Megève (3150 abitanti) sul versante francese del Monte Bianco a capo di una salita lunga (20km) e facile (pendenza media 4%). Un solo precedente: la vittoria di Chris Froome nel 2016 in maglia gialla.
Il giorno seguente, mercoledì 13, start da Albertville (omaggio per i Giochi Olimpici invernali del 1992, qui Alberto Tomba vinse la medaglia d’oro nello slalom gigante e l’argento nello slalom speciale) e traguardo al Col du Granon. Il Passo (2.413 m) si trova nel massiccio del Cerces, dipartimento Alte Alpi, nel comune di Saint-Chaffrey (1600 abitanti) uno dei comprensori sciistici più grandi di tutta Francia. Il Tour toccherà il Col du Granon per la prima volta e questa salita sarà anche primo Gran Premio della Montagna hors categorie di questa edizione. Sarà un autentico tappone alpino: nell’ordine Lacets de Montvernier, Col du Telegraph, Col du Galibier e infine i 12 chilometri finali, molto impegnativi.
Giovedì 14 luglio sarà festa nazionale in Francia e il Tour, come sempre, ha messo in calendario una tappa speciale per questa ricorrenza. Quest’anno sarà la dodicesima, Briançon-Alpe d’Huez (165,5 km). Si scalerà nuovamente il Col du Galibier salendo fino ai 2642 metri (tetto del Tour) poi la Croix de Fer e arrivo sulla famosissima Alpe d’Huez: 13,9 km con una pendenza media dell’8%. Qui hanno vinto soltanto cinque italiani: Fausto Coppi nel 1952; Gianni Bugno nel 1990 e 1991; Roberto Conti nel 1994; Marco Pantani nel 1995 e 1997; Giuseppe Guerini nel 1999.
Servono davvero vini di qualità per digerire una simile scorpacciata di salite.
IL TERRITORIO
Il dipartimento dislocato nella parte sud-orientale della Francia sotto le alte cime innevate delle Alpi si caratterizza per le verdi vallate ricoperte da boschi incontaminati, torrenti impetuosi e placidi laghi di montagna. Il suo nome pare infatti che derivi da un termine celtico latinizzato in Sabaudia che significa “paese coperto di abeti”.
Il clima continentale, con inverni spesso molto rigidi, estati calde e una forte escursione termica tra giorno e notte, ha favorito fin dalla conquista romana l’allevamento di vitigni a ciclo vegetativo breve, con predominio di quelli bianchi nella più fredda Alta Savoia e di quelli rossi in Savoia, Isère e Bugey (enclave vinicola appartenente al limitrofo dipartimento dell’Ain), dove la temperatura media sale di circa due gradi. I primi sono realizzati con le autoctone uve Altesse (detta anche Roussette), Jacquere, Challesas, Mondeuse Blanc, Gringet e Molette, mentre i secondi con la locale qualità Mondeuse Rouge e l’emergente Persan; a queste si aggiungono le più note varietà mutuate dal confinante Jura, regione che presenta una spiccata affinità pedoclimatica con questo territorio. Le viti sono generalmente coltivate sui variegati terreni argillo-calcarei dei pendii di origine glaciale morenica e dei ghiaioni di rocce sgretolate che disegnano un panorama vitivinicolo variopinto e caleidoscopico.
I VINI
Roussette de Savoie Altesse – Domaine Giachino (Chapareillan)
Gli entusiasti Frédéric e David si dedicano da oltre vent’anni alla coltivazione della vite nell’idilliaco scenario pedemontano del parco regionale della Chartreuse a pochi chilometri dal vivace capoluogo Chambéry. La predilezione per i vini freschi, fini e puliti trova una puntuale sintesi in questa etichetta ottenuta affinando sui lieviti, dopo pressatura soffice, le loro migliori uve Altesse vinificate in purezza. All’esame visivo esibisce il caratteristico colore giallo paglierino e al naso primaverili profumi di fiori di campo, su cui progressivamente si innestano accattivanti sentori di mela cotogna, ananas e noce. La rinfrescante vivacità accentuata dal retrogusto citrino controbilancia la trama fitta e opulenta che ritrova la succosa integrità della frutta emersa nel corredo aromatico.
Abbinato solitamente alla “fonduta savoiarda”, a mio avviso il suo fresco profilo si esalta ancor di più con secondi di pesce, sia d’acqua dolce che di mare. A tal proposito, ci spostiamo dalle Alpi al litorale etneo per assaggiare la “triglia maggiore di scoglio” del funambolico chef Ciccio Sultano del Duomo di Ragusa, un viaggio tra profumi e sapori dell’infanzia condensati nella mattonella fritta di insalata, pomodoro e pan grattato su cui viene adagiato il pesce croccante come un biscotto.
Vin de Savoie Arbin Terres Brunes – Domaine André et Michel Quénard (Chignin)
Le migliori parcelle di Mondeuse Rouge coltivate nel comprensorio di Arbin su terreni bruni ricchi di ferro vengono affinate per quasi un anno nelle tradizionali botti di rovere per imprimere una elegante intelaiatura tannica al notorio timbro fruttato di questa diffusissima uva autoctona. Sul vestito rubino intenso che sfuma verso tonalità violacee sul bordo del calice si schiude un bouquet dominato da sentori di peonia, fragola e lampone, abbelliti da sfumature di muschio e pepe nero. Fascianti sapori fruttati e speziati contrassegnano anche il sorso pieno ma leggero e scorrevole, dove la vibrante componente acida e i tannini croccanti ne sostengono lo sviluppo fino al finale terso e saporito in cui tornano a galla pregevoli folate floreali.
Gli abitanti del posto lo stappano volentieri con i “crozet”, piccoli quadratini di pasta gratinati con il locale formaggio Beaufort e la salsiccia, e in effetti il matrimonio con i primi di terra si rivela ineccepibile, dalle tagliatelle ai funghi al risotto con la luganega. Restando in montagna, potremmo deliziare il palato con i sostenibili “gnocchi di rapa rossa, ravanelli bianchi e rossi, terra di birra” del tristellato Norbert Niederkofler, una creazione che esalta i più tipici ingredienti poveri che nascono sottoterra nella stagione invernale in un esplosivo gioco di colori e consistenze, dove la semplicità del tradizionale gnocco di patate è nobilitata da eteree schiume di essenze casearie e boschive.