Sulle strade del Tour: Lorena e Alsazia, vini e cibo
Il Tour de France scende in velocità verso il Sud. Salutata la Danimarca, oggi riparte da Dunkerque con un’insidia dopo l’altra. La prima tappa interamente francese è per velocisti. Calais ospita l’arrivo per la prima volta; in precedenza, aveva ospitato due partenze di tappa: nel 2001 e nel 1994. Nella quinta tappa, domani, 157 chilometri da Lille ad Arenberg-Port de Hainaut, avremo il temutissimo pavé: i settori saranno 11 – alcuni inediti – per 19,8 chilometri, tutti negli ultimi 75 chilometri.
Non tragga in inganno l’Arenberg, indicata come sede d’arrivo: la temutissima foresta della Parigi-Roubaix non verrà attraversata. L’ultima volta è stata nel 2018 (21,7 km di pavé in totale, la distanza più lunga) ma a noi italiani fa tornare alla memoria il 2014. La tappa, però, partiva dal Belgio, da Ypres, i chilometri erano 155 e la pioggia imperversò da mattina a sera; Nibali in maglia gialla diede spettacolo insieme con i suoi compagni di squadra Fuglsang e Westra: non vinse in quella occasione ma cominciò a porre le basi per vincere quel Tour.
Il giorno dopo, i 220 chilometri varranno l’etichetta di tappa più lunga del Tour: si correrà da Binche a Longwy, città che ospitò la gran boucle per la prima volta nel lontanissimo 1911. A Longwy nel 2017 vinse Peter Sagan, anche quest’anno sarà un arrivo per lui. È l’antipasto del piatto prelibato: venerdì 8 luglio da Tomblaine all’arrivo chiamato Super Planche des Belles Filles. Super, perché il traguardo è posto alla fine un tratto di 900 metri su terra battuta (1140 metri sul livello del mare). È l’arrivo in cui nel 2019 Giulio Ciccone conquistò della maglia gialla arrivando secondo, alle spalle di Dylan Teuns. Qui vinse anche Vincenzo Nibali nell’anno di grazia 2014 ma l’arrivo era più sotto (1035 metri sul livello del mare) al termine della strada asfaltata. Così si spiega il “Super” che i francesi hanno introdotto per differenziare le due linee d’arrivo.
Sabato si sconfinerà in Svizzera per arrivare a Losanna (traguardo non sul lungolago ma in cima alla salita che porta allo Stadio Olimpico) Non è una salita impegnativa ma soltanto televisiva. A Losanna il Tour ha fatto tappa per cinque volte, la prima nel 1948 con il successo di Gino Bartali, futuro vincitore di quello storico Tour. Fu la sesta vittoria – terza consecutiva! – di tappa al Tour del campione toscano. L’ultimo arrivo del Tour a Losanna risale al 2000, vittoria dell’olandese Erik Dekkeral termine di una lunga fuga.
E ora passiamo al territorio e i suoi vini.
IL TERRITORIO
La Lorena è una piccola regione rurale del nord-est francese che si estende sopra l’Alsazia e le Ardenne fino a lambire il confine con Belgio, Lussemburgo e Germania. La viticoltura locale, dislocata a macchia di leopardo sulle sponde della Mosella, paga dazio in termini di notorietà alla più rinomata omologa tedesca e ai suoi autorevoli Riesling. A differenza di quest’ultima, i vitigni qui coltivati sono quelli della tradizione borgognona, affiancati dall’interessante varietà Auxerrois, un pregevole clone del Pinot Blanc molto resistente ai climi rigidi. Se la denominazione Vin de Moselle si limita a confezionare vini bianchi di scarsa rilevanza enologica, la più meridionale Côtes de Toul annovera etichette leggere e fruttate spesso molto interessanti. Tra queste spiccano i singolari Vin Gris de Toul, rosati ottenuti da blend di Pinot Noir e Gamay, a cui viene talvolta aggiunta una piccola percentuale di Auxerrois.
IL VINO
Côtes de Toul Gris de Toul – Les Vins Lelievre (Lucey)
Selezione di vocate parcelle poggianti sui ben drenati pendii argillo-calcarei di Lucey, Bruley, Blénod-les-Toul e Buligny, si presenta con un fascinoso colore rosa confetto, illuminato da brillanti riflessi che ricordano la buccia di cipolla. Il naso si apre con fragranti sentori primari di fragola, ciliegia e lampone che man mano lasciano spazio a una deliziosa nota floreale di lillà. Il palato, saporito e vivace allo stesso tempo, si snoda con freschezza e rotondità tra pregevoli richiami aromatici alla frutta rossa, dove emerge l’asprigno sapore di amarena che sigilla il terso retrogusto finale.
Il più classico degli abbinamenti locali è senza dubbio la celeberrima quiche lorraine, una gustosa torta salata con morbido ripieno di crema all’uovo e pancetta, ma la vivace acidità che equilibra in bocca la succulenta sensazione calorica lo rende piacevole a tutto pasto e soprattutto ideale per stemperare la grassezza di ricette sapide e cremose come i primi piatti della tradizione romana. A quanti possono permetterselo, suggerisco di portare con sé questa bottiglia all’ultimo piano dell’Hotel Cavalieri Waldorf Astoria di Roma (difficilmente la troverete in carta) e stapparla davanti ai succulenti “fagottelli La Pergola”, il tributo alla carbonara del tristellato chef Heinz Beck imperniato sul parziale capovolgimento degli ingredienti, con la crema all’uovo celata dentro una sfoglia a forma di sigaretta che esplode in bocca morso dopo morso, miscelandosi alla salsa di guanciale, zucchine, pepe nero e pecorino.
IL TERRITORIO
Quando si parla di Alsazia vinicola il primo pensiero di ogni appassionato vola a Gewürztraminer e Riesling, ma il vero archetipo di riferimento dello stile regionale è senza dubbio il Pinot Gris (conosciuto anche come Tokay Pinot Gris), una più umile varietà dalla struttura possente, quasi masticabile, in grado di sintetizzare le caratteristiche dei due celebri vitigni, coniugando la speziata aromaticità del primo con la vibrante acidità del secondo. La leggenda vuole che sul finire del Cinquecento il barone Lazare de Schwendi, fedele servitore della Casa d’Austria nella lotta contro i Turchi, riportò con sé in Alsazia alcune barbatelle dalla città ungherese di Tokaj che, pur non presentando alcuna tipo di parentela con il celebre Furmint, assunsero il nome del villaggio magiaro. Il nome resistette per molti anni accanto a quello del Pinot Gris di Borgogna che nel corso del secolo scorso soppiantò le viti ungheresi, fino a scomparire grazie a un provvidenziale decreto del 2007.
IL VINO
Alsace Pinot Gris Grand Cru Rangen de Thann Clos Saint-Urbain – Domaine Zind Humbrecht (Turckheim)
Il mitico produttore alsaziano, celebre in ogni angolo del mondo per la sua formidabile batteria di vini bianchi, non ha certo bisogno di presentazioni. Questa cuvée incarna alla perfezione la sua filosofia di scolpire piccoli fuoriclasse dalla travolgente persistenza aromatica e, al contempo, dall’estrema eleganza e finezza. Il brillante mantello dorato innesca nel calice una insospettabile ventata fresca di torba e iodio, su cui si schiudono in progressione intriganti sentori di noce, fico, miele di castagno e cera d’api. La forza monolitica e l’impeto veemente con cui si presenta al palato sono spiazzanti, poi la beva scivola leggiadra e senza alcun cedimento alla stucchevolezza sul duplice binario di freschezza e mineralità che trova degno capolinea nel sapido finale: secco, balsamico e interminabile.
A Colmar e dintorni il connubio con la locale focaccia allo speck e cipolle o con la più robusta “choucroute”, un piatto tradizionale a base di carne di maiale e crauti, è praticamente d’obbligo. Qui da noi non avrei dubbi ad accostarvi meno pesanti carpacci di tonno o di salmone in salsa di agrumi. Seduti nell’ariosa sala del ristorante Duomo di Alba potremmo invece sperimentare un audace abbinamento con la geniale “Insalata 21-31-41” del giovane cuoco tristellato Enrico Crippa, una caleidoscopica miscela di erbe, fiori e foglie nella quantità indicata nel nome stesso che compongono una colorata coppetta in cui pungenti sapori selvatici e fresche note croccanti sono magnificati dal raffinato condimento dolce e acidulo.