Vittorio Adriano: il ricordo di oscarwine

Vittorio Adriano mi mancherà. Lo conobbi nel 2016 in occasione di una degustazione privata dei suoi vini a Roma. Fu subito simpatia, la sera stessa andammo a cena fuori.

Ho introdotto Vittorio ad alcuni amici – ristoratori, enotecai, proprietari di pub – tutti colpiti dalla sua competenza e dalla contagiosa simpatia; regalava a tutti un sorriso non a 36 ma a 72 denti mentre, presentandosi, allungava la mano dicendo: “Vittorio Adriano, contadino” (si mise a ridere, sapendo che un amico lo aveva soprannominato Tex Willer).

VITTORIO CON LA MOGLIE GRAZIA

In macchina mi spiegava che lui era quello, un contadino, un uomo della terra; non amava titoli, se si parlava della cantina metteva davanti a lui il papà Adriano e il fratello Marco. Ordine alfabetico? Anagrafico? Per niente. Il nome della cantina, “Adriano, Marco e Vittorio” per lui era la sequenza del cuore. Una volta, girando in auto per Roma, mi spiegò che aveva terminato gli studi grazie al padre e al fratello e, per questo, era giusto così.

Non pensate che questa simpatia e buonumore, come a volte equivocano in molti, fosse sinonimo di poca serietà o altro. Vittorio era estremamente determinato. Se diceva una cosa era quella, fermo ed educato. In occasione di un evento al quale gli chiesi di partecipare, mi disse che non poteva perché aveva già stretto la mano a un’altra persona e per lui quelle cinque dita chiuse, nonostante gli avrebbe fatto piacere lavorare assieme, avevano un profondo significato. In occasione del Natale 2016, lo ricordo ancora, mi fece arrivare in fretta e furia dal Piemonte alcune magnum, regalo per un caro amico; nonostante i problemi delle consegne di fine anno, riuscì in quella che vi garantisco fu un’impresa. E sotto Covid, ricordo quando mi raccontò di come la famiglia aveva organizzato il lavoro e le consegne che lui stesso faceva (“scusami tanto, stavo scaricando del vino e non potevo risponderti” mi disse dopo una telefonata mancata).

VITTORIO, GRAZIA E MICHELA

Quando parlavamo di vino, mi appassionava: dai cannoni antigrandine, all’interesse di diversi imprenditori stranieri per le sue vigne, passando per le discussioni su alcuni eccessi in fase degustativa di colleghi sommelier (preferiva un silenzio educato a quelli che sarebbero stati corretti rilievi) e la nostalgia per le vendemmie di una volta, fatte con amici e vicini di vigna, quando le scartoffie e le norme non avevano ancora preso il sopravvento.

Quest’anno gli scrissi che mi era mancato a Vinitaly e, alla romana, che sua figlia Michela era stata una “grande”. Michela di cui era tanto fiero, che ha il sorriso di papà Vittorio e il suo stesso amore per la loro terra, della quale lui ricordava: “I miei genitori si trasferirono dall’Alta alla Bassa Langa, non fosse stato per loro, oggi l’azienda non esisterebbe e noi faremmo altro nella vita, di sicuro non questo splendido lavoro. Hanno sostenuto grandi sacrifici per acquistare una terra meravigliosa.

Meraviglioso eri anche tu Vittorio. Ci mancherai.

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