Carlo Pietrasanta: vi spiego cos’è l’enoturismo

Qual è lo stato di salute dell’enoturismo in Italia?
Ne abbiamo parlato con Carlo Giovanni Pietrasanta, tra i fondatori del Movimento Turismo del Vino, l’associazione che riunisce circa un migliaio di cantine in tutta Italia, titolare dell’omonima azienda vinicola nella “collina di Milano”, a San Colombano. Pietrasanta ha collaborato alla definizione del decreto attuativo sulla regolamentazione dell’enoturismo e attualmente ricopre il ruolo di presidente del Movimento Turismo del Vino Lombardo, da lui fondato nel 1997.

Carlo Pietrasanta

Come vedi la situazione dell’enoturismo in Italia?
“L’enoturismo è la grande opportunità che si sta cogliendo tutti dopo questi due anni di blocco. Per ora è locale, lombarda, italiana ma a breve tornerà a essere internazionale: ci sono i segnali. Le cantine devono capire però che enoturismo non è degustazione del proprio vino, ma turismo vero. Per anni ho lavorato per dare alle aziende l’opportunità di svolgere correttamente questa attività. Noi nasciamo agricoltori, piantiamo barbatelle e raccogliamo uva. Prima attività. Quando portiamo uva in cantina siamo artigiani, perché trasformiamo una materia prima naturale in altro: secondo lavoro. Quando il vino è pronto, diventiamo commercianti. Incarniamo tre attività in una. Vogliamo fare turismo? Dobbiamo imparare un quarto lavoro e accogliere professionalmente la gente, entrando in empatia con i visitatori, emozionandoli e facendoli tornare. Se li ospitiamo non banalmente, possiamo trasformarli nel nostro biglietto da visita: racconteranno di noi agli amici. Oggi ci sono i social, posto una foto o una storia e faccio trasparire le mie emozioni. Da “diversamente giovane”, ricordo quando stressavo gli amici con le foto dei miei viaggi intorno al mondo. Funziona così.”

Non tutti conoscono la legge sull’enoturismo. Proviamo a spiegarla.
“Sono quattro commi inseriti nella legge di bilancio 2018 (in realtà ci sarebbe anche la legge Tartarini del 1999 sulle Strade del Vino che non ha mai avuto decreto attuativo. Contiamo gli anni che sono passati…). In Italia l’enoturismo possono farlo i produttori di vino che sono ubicati all’interno di una denominazione. Non possono farlo tutti. Imbottigliatori tagliati fuori, bugiardo chi dice il contrario. Fanno il loro lavoro e va rispettato, offrono un prodotto al mercato e aiutano le aziende, ma non possono fare enoturismo. I quattro commi dettano le regole. Grazie anche alla spinta di UIV, Centinaio ha firmato il decreto attuativo durante primo governo Conte e ora abbiamo standard minimi per fare enoturismo, regole, come la conoscenza di almeno tre lingue o l’obbligo di usare prodotti tipici del territorio. Alle cantine non abbiamo potuto permettere di fare piatti caldi, ma possono servire ad esempio salumi e formaggi. Cucinare in cantina? Avremmo creato concorrenza con ristoranti e agriturismi. Perché farci del male? Tra l’altro sono i nostri primi clienti. È stata una decisione logica. C’è anche chi ha creato un ristorante stellato in cantina ma non serviva questo. L’enoturismo ha permesso piuttosto di regolamentare la somministrazione in cantina senza incorrere in sanzioni.”

Cosa manca ancora?
“Molti si lamentano per la cartellonistica stradale, ma è un falso problema. Quando divento luogo di destinazione turistica posso essere indicato sulla strada con i cartelli marroni e bianchi che non pagano tasse di pubblicità. Il codice della strada lo prevede. Ci sarebbero dei chiarimenti da fare ma ci lavoreremo. C’è poi la questione IVA, anche questa da sistemare: aziende che fatturano al 22% e altre al 10. Infine bisogna fare comunicazione affinché le associazioni sindacali agricole diano informazioni corrette sull’enoturismo: sono ancora in troppi a non conoscere la legge.”

Concretamente, cosa stanno facendo le istituzioni?
“La Regione Lombardia è stata la terza in Italia a recepire il decreto attuativo, ora siamo nove in tutto, manca ancora metà del lavoro. Da noi abbiamo puntato anche sulla formazione. Esistono anche i PSR (Programmi di Sviluppo Rurale – ndr) per i luoghi di degustazione, ma non servono agevolazioni o aiuti di stato, sono le aziende e i vignaioli a dover decidere cosa vogliono fare. Se vogliono limitarsi alle degustazioni non facciano niente, ma se vogliono accogliere i turisti si informino, rivolgendosi a chi come noi fa questo per lavoro. Ti metti in regola e lavori secondo la legge, senza fare concorrenza sleale ad altri. Ci sono poi servizi aggiuntivi come quelli del wellness ma qui, come dicevo prima, dovresti fare un altro mestiere ancora.”

Parlando di numeri, è possibile misurare la ricaduta economica dell’enoturismo sulle vendite di vino?
“Non ancora. Potremmo avere dei numeri fra un paio di anni se l’Agenzia delle Entrate estrapolerà i flussi che vengono mandati dalle cantine con i registratori di cassa, che devono avere canali di uscita separati per la vendita del vino e per l’enoturismo. Cantine già attrezzate da anni per il turismo stanno arrivando ad avere fatturati importanti di vendita diretta in cantina generati da questa attività. Parliamo anche del 40% di bottiglie vendute in cantina a prezzo pieno, senza spese di trasporto, intermediazioni di agenzie e soprattutto con pagamento immediato. È tanta roba. In pandemia è servito a molti per rimanere in piedi: il rapporto creato con i clienti ha favorito le ordinazioni e le consegne a domicilio, anche quando tutto era chiuso.”

Avete registrato una flessione dall’inizio della pandemia? 
“Non c’è stata flessione, tranne forse i primi momenti di sbandamento nella primavera del 2020. Gli italiani non potendo andare all’estero hanno sostituito il turismo straniero. Abbiamo recuperato bene anche in termini di valore: spendendo meno per i viaggi, il turista italiano ha più disponibilità e acquista più bottiglie. C’è voglia di spendere per questo tipo di servizio e si è riscoperto il turismo di prossimità, che le nuove generazioni avevano dimenticato. Noi eravamo abituati alle gite fuori porta con la famiglia, ai pic nic. La gente vuole stare all’aperto: dobbiamo attrezzarci sempre di più per questa esigenza. Gli eventi invernali si sono fermati negli ultimi due anni, ma bisogna tornare a vivere anche questa stagione il prima possibile.”

Come si possono utilizzare i social per l’enoturismo?
“Bisogna usare le piattaforme facendosi aiutare dagli esperti. Bisogna emozionare. Chi viene da noi deve trasmettere agli altri la gioia dell’esperienza vissuta. Dobbiamo essere semplici ma innovativi, raccontarci. Non vogliamo diventare social media manager, non è il nostro lavoro, ma quando si fa formazione bisogna parlare anche di marketing, dare delle nozioni fondamentali. La gente che viene in cantina non vuole il sommelier didattico che parla dei profumi del vino, perchè non lo capirebbe. Vuole il racconto, e noi dobbiamo darglielo. Senza dimenticare il galateo, piccole cose giuste al posto giusto, e in questo è di grosso aiuto la componente femminile delle aziende, sempre più presente. L’accoglienza ha delle regole: se al turista giapponese faccio trovare il fiore bianco da funerale, quello giustamente scappa.”

Un invito per concludere.
“Come associazione siamo a disposizione di tutti, non siamo una élite. Crediamo da trent’anni nell’enoturismo. Grandi o piccole, le cantine con il nostro aiuto possono portare gente da loro. È un’opportunità da non perdere, come vignaioli e come italiani, sempre in sinergia nei territori con i nostri vicini. In ogni luogo d’Italia c’è qualcosa di bello da vedere.”

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