Il Bacco di Caravaggio e la campagna contro l’alcol

La campagna di sensibilizzazione di EurocareAlcohol labelling: the right to know” sul consumo di alcol, iniziativa mirata a una riduzione dell’assunzione del 10% entro il 2025 e sostenuta dall’Unione Europea e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha colpito nel segno. All’Eurocamera è comparsa la sagoma di cartone di una bottiglia con sopra il Bacco di Caravaggio e sotto la scritta “L’alcol causa il cancro al seno”, scatenando, visto il messaggio trasmesso vino/malattia, la reazione avversa del nostro Ministero della Sovranità alimentare (due anni fa il quadro fu esposto a Vinitaly) e di alcune associazioni di categoria italiane.

L’alcol fa male, può provocare patologie, è legato a problemi sociali ed è causa di morti sulla strada nei casi di ubriachezza alla guida. Nessuno lo nega.

Tuttavia, correlarne il consumo a una malattia precisa, attaccare direttamente il vino (Bacco non distillava whisky né produceva birra) e non parlare di consumo moderato rientra in una comunicazione allarmistica e poco approfondita, a differenza, invece, di quanto chiedono gli organizzatori di questa campagna per le bevande alcoliche che, si legge in una nota, oltre due terzi dei partecipanti di una consultazione della Commissione Europea ritengono dovrebbero avere etichette con ingredienti e valori nutrizionali, esigenza non soddisfatta dall’attuale autoregolamentazione volontaria da parte dell’industria degli alcolici.

Quindi, i consumatori rimarrebbero senza indicazioni. Quegli stessi consumatori che riempiono i carrelli di cibo e bevande di ogni tipo ogni giorno – guardando quasi sempre solo prezzi e offerte e raramente guardando a valori nutrizionali o altro – e consumando una serie di prodotti che dovrebbero avere non un bollino rosso ma uno nero per i potenziali pericoli correlati al loro consumo che, spesso, è incontrollato e quotidiano. Nella nota, si legge ancora, “non esiste un livello sicuro di consumo di alcol, e anche piccoli livelli aumentano il rischio di malattie e cancro” e, andando avanti, la lettura risulta ancora più allarmistica.

Non siamo medici, per questo ci affidiamo al parere del professor Massimo Ciccozzi, ordinario di epidemiologia e statistica medica, che, qualche giorno fa era intervenuto alla una tavola rotonda “Comunicare il vino: pericoli, errori ed etichette inclusive” organizzata dall’agenzia di comunicazione Cenacoli e da oscarwine alla Camera dei Deputati – alla quale hanno partecipato anche l’onorevole Andrea Di Giuseppe, presidente del Comitato Permanente sul Commercio Internazionale, il senatore Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato, l’onorevole Marco Cerreto, Commissione Agricoltura della Camera, e il produttore Pietro Monti dell’Azienda Agricola Roccasanta – proprio per fare un punto sul tema delle etichette e degli avvisi sanitari.

L’alcol è associato a diversi problemi di salute è una sostanza tossica, un cancerogeno gruppo uno – precisa il professore – questo dice l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Il consumo di vino può aumentare il rischio di sviluppare alcune patologie, ma parliamo di consumo non moderato. L’87% del vino è acqua, la parte restante è materia alcolica associata a vitamine, antiossidanti: un consumo possibile se fatto con moderazione e intelligenza, non qualcosa che va a generare un accumulo di grasso viscerale, come nel caso di birra e superalcolici. Cosa dovrebbero fare allora gli asiatici, ai quali manca un enzima importante per smaltire l’alcol? Se proprio dobbiamo mettere degli avvisi sanitari, facciamolo piuttosto sulle merendine ipocaloriche, sulle bevande ultrazuccherate, su alcuni tipi di carne pieni di antibiotici e sui pesci che ormai sono imbottiti di microplastiche. Per non parlare poi dei prodotti contraffatti, situazione che ritroviamo anche nel vino. I nemici della salute li conosciamo, attacchiamo quelli, non demonizziamo quando non serve.

Personalmente, non ho mai visto nessuno spaventato da un’etichetta o scoraggiato dalla sua lettura all’acquisto di un prodotto, né una persona affetta da dipendenze rinunciare alla sua “droga” per paura di una scritta. Il caso degli avvisi sanitari, poi, nasce in Irlanda dove c’è un serio problema di alcolismo in diverse fasce di età.

Cosa fare allora? È sacrosanto informare il consumatore su cosa contiene un prodotto in vendita ma, riguardo i rischi dovuti a un determinato tipo di assunzione dello stesso non servono allarmismi ma cultura. Cultura alimentare che dovrebbe iniziare nelle case, proseguire nelle scuole, ed essere garantita dalla politica (nei casi di incidenti dovuti al consumo di alcol ad esempio punendo i colpevoli con pene durissime).

Guardando cosa si mangia e beve in altri Paesi, viene da pensare che forse l’Italia dovrebbe salire in cattedra in Europa e iniziare a fare comunicazione in questo senso.

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