SPUM.E., progetto per distretto spumantistica umbra
Oggi, sono stati presentati a Gubbio, al Park Hotel ai Cappuccini, i risultati del progetto di ricerca SPUM.E che pone le basi per la possibile nascita di un distretto della spumantistica umbra che potrebbe andare a valorizzare le zone montane dell’Appennino in via di abbandono, promuovendone recupero e reinsediamento.
SPUM.E (acronimo di Spumantistica Eugubina) è un progetto di valutazione della sostenibilità ambientale, economica e sociale della produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino Gualdese, già riconosciuta storicamente per la produzione di vini di qualità, finanziato dalla Regione Umbria tramite PSR, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano, e che ha visto il coinvolgimento delle aziende agricole Semonte e, come partner, Arnaldo Caprai e Leaf (azienda di consulenza per il settore vitivinicolo).
L’Umbria, infatti, possiede una grande superficie coltivabile in quota: oltre il 25% della superficie regionale si trova sopra i 600 m s.I.m. che ben si adatterebbe ai nuovi scenari climatici e produttivi.
«È in questo senso – ha spiegato il professor Leonardo Valenti del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali, produzione, territorio, agroenergie dell’Università degli studi di Milano – che la pianificazione territoriale può assumere un ruolo chiave nell’azione di contrasto ai cambiamenti climatici e ai loro impatti. In Umbria quasi il 40% della superficie si trova ad altezze tra i 200 m e i 400 m s.l.m., il 26% tra i 400 m e i 600 m, il 13% tra i 600 m e gli 800 m, e il 14% a più di 800 m. La maggior parte delle attività vitivinicole umbre oggi occupano superfici tra i 200 m e i 600 m s.l.m. e si trovano sempre più frequentemente a dover affrontare le conseguenze degli eventi meteorologici estremi (primi tra tutti gelate e improvvise onde di calore) che, mettendo a repentaglio la quantità e qualità della produzione, con ripercussioni negative sulla loro capacità competitiva. Tenuto in considerazione quanto finora ricordato, il progetto SPUM.E ha avuto l’ambizione di analizzare gli effetti di un impianto vitato innovativo per la produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino-Gualdese oggetto di recenti verifiche qualitative sulla vocazionalità tecnologica della spumantizzazione. Il successo del progetto non avrebbe, tra l’altro, il solo effetto di sperimentare la fattibilità e la competitività di un vigneto specializzato impiantato a nuove altitudini nel totale rispetto dell’ecosistema appenninico, ma contribuisce a costituire uno dei primi esempi virtuosi di recupero dell’economia rurale in un territorio che soffre fenomeni di abbandono, invecchiamento e depauperamento delle attività economiche».
«Da un lato è evidente come, a causa dei cambiamenti climatici in atto e del conseguente innalzamento delle temperature, i terreni in quota – ritenuti in passato inadatti alla viticoltura, se non “eroica”, e non di rado abbandonati da decenni proprio per la loro improduttività – possano dimostrarsi ora ideali per la coltivazione della vite, in fuga da calore e siccità, e quindi fungere da volano per la nascita di una nuova imprenditoria legata al vino», sottolinea Marco Caprai.
Gli studi di SPUM.E sono partiti dal vigneto sperimentale di 6 ettari impiantato tra il 2017 e il 2019 a Chardonnay e Pinot Nero (i due vitigni ideali per la spumantizzazione Metodo classico) in località San Marco di Gubbio dall’azienda agricola Semonte, di proprietà della famiglia Colaiacovo, a una quota compresa tra i 750 e gli 850 metri di altitudine, su terreni abbandonati che, in passato, erano stati utilizzati come seminativo e poi come pascoli. Gli studi condotti per due anni dai ricercatori hanno rilevato come la qualità delle uve sia ottimale e migliore rispetto a quelle allevate a bassa quota. La vendemmia è più tardiva rispetto alla pianura e anche le necessità idriche sono decisamente inferiori.
Nel vigneto sono state anche installate moderne tecnologie per realizzare un vigneto a basso impatto ambientale nell’agro-ecosistema appenninico. L’impianto è gestito con utilizzo di tecnologie innovative (IoT) capaci di analizzare il microclima del vigneto e le risposte fisiologiche delle piante (come le tecnologie di monitoraggio continuo delle variabili meteorologiche, di modellizzazione degli eventi avversi, dello sviluppo delle malattie, di contenuto idrico dei suoli, dell’attività fisiologica della vite). Le previsioni delle IoT permettono, se adeguatamente informatizzate e connesse, di portare a piena produttività i vigneti di qualità annullando l’impatto sull’ambientale e minimizzando il consumo di risorse primarie. Dai sei ettari di vigneto sono già stati messi in bottiglia degli spumanti metodo classico che debutteranno a Vinitaly 2025.
I dati emersi dalla ricerca per il progetto SPUM.E potrebbero stimolare la nascita di un vero e proprio distretto della spumantizzazione in Umbria, oltre che essere da esempio virtuoso per altri territori montani italiani. Secondo lo studio, «l’11,3% della superficie agricola utilizzata (SAU) in Umbria, con buona idoneità alla coltura della vite, si trova in montagna, in aree risultate fragili dal punto di vista socio-economico e in cui nuovi investimenti potrebbero dare nuova linfa all’economia rurale», ha spiegato Chiara Mazzocchi, professore associato in Economia agraria dell’Università di Milano.
Inoltre, se si considerano le aree che, dal punto di vista climatico, idrologico e pedologico sono risultate avere alta idoneità alla coltura della vite, la quota che si trova in montagna sale a più del 20% del totale. Questo significa anche che si può ipotizzare una maggior idoneità di queste aree alla coltura di quei vitigni che necessitano di particolari condizioni per produrre uve adatte alla spumantizzazione. Ci potrebbe essere, dunque, una doppia valorizzazione delle aree montane appenniniche: quella economica e quella sociale.
La ricerca ha portato a una mappatura dei Comuni che ospitano le aree più adatte alla coltivazione della vite, integrata da un indicatore di fragilità socio-economica dei Comuni stessi, mettendo in evidenza quali aree sarebbero più interessanti per eventuali investimenti.